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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2012 alle ore 08:17.

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«Se non è capace di guidare la bicicletta, se ne stia a casa!». Con quest'ingiunzione non proprio cortese una signora sulla cinquantina chiude un breve scambio con un uomo più o meno della sua età, reo di aver invaso la corsia opposta della ciclabile. Che due ciclisti si mandino a quel paese è un evento raro, perché i pedalatori – come ogni minoranza – tendono a solidarizzare, a manifestare complicità e comprensione reciproca: intorno a sé hanno troppi nemici per permettersi di litigare tra loro. Teatro dell'alterco in questione, dunque, è una via di Ferrara, dove la bicicletta è usata dal 90% dei cittadini: qui i ciclisti non hanno complessi d'inferiorità e può capitare che si comportino come degli automobilisti qualsiasi, incluso nel prendersi a male parole.
Ma quella di Ferrara è una situazione eccezionale: il nostro Paese non è affatto a misura di pedali nonostante il fatto che, secondo un'indagine del 2011 commissionata da Legambiente, dal 2001 gli italiani che si spostano regolarmente in bici nelle città sono triplicati, arrivando al 9 per cento. L'intensa voglia di bicicletta spiega anche il successo della campagna «Salvaiciclisti» – culminata nella manifestazione a Roma di sabato 28 aprile – che ha radunato spontaneamente persone diversissime e che chiede una cosa semplice: far sì che nelle nostre città la bici la possa usare anche chi non pratica gli sport estremi. Vien dunque da chiedersi perché manchino amministratori desiderosi di raccogliere un facile e ampio consenso, oltre che perseguire obiettivi concreti come la diminuizione dell'inquinamento e del traffico.
Non è però solo per risolvere questi problemi che l'uso della bicicletta merita di essere incentivato. Inannzitutto, più pedalate in Europa possono significare meno fame nel mondo. Per combattere le emissioni nocive delle automobili, infatti, l'Unione europea vuole che il 10% dell'energia per il trasporto provenga da fonti rinnovabili, vale a dire, nella stragrande maggioranza dei casi, dai cosiddetti biocarburanti, combustibili che derivano da cereali e altri vegetali. Solo che per produrli ci vuole molto terreno che si va a cercare nei Paesi più poveri del mondo, creando problemi a persone che già faticano ad alimentarsi adeguatamente. ActionAid, impegnata in una campagna continentale sui biocarburanti, sottolinea infatti che per ricavare cinquanta litri di bioetanolo, cioè per fare il pieno a una macchina, servono duecentotrentadue chili di mais, che basterebbero per sfamare un bambino per un anno intero. Eppure c'è un'alternativa molto più efficace: secondo un'analisi della Federazione europea dei ciclisti eseguita alla fine del 2011, se ogni europeo sostituisse cinque chilometri di quelli che fa ogni giorno in auto con altrettanti in bicicletta, metà dell'abbattimento dell'inquinamento che il Vecchio Continente intende raggiungere entro il 2060, sarebbe subito realizzato.
Che la bicicletta sia uno strumento formidabile contro la fame e la povertà lo dimostra anche l'organizzazione statunitense World bicycle relief, la cui missione suona decisamente bene: garantire indipendenza e livello di vita dignitoso attraverso il potere della bici. World bicycle relief opera soprattutto in Africa, dove in cinque anni ha distribuito quasi 102mila biciclette, contribuendo, secondo quanto dichiara sul proprio sito, a cambiare la vita di oltre 508mila persone. L'impatto sulle vite dei più poveri – una «rivoluzione industriale nella vita di un singolo», sostiene il presidente dell'organizzazione – è descritto con pochi numeri: grazie alla bicicletta una persona trasporta cinque volte il peso che porterebbe a piedi, percorre una distanza quattro volte superiore, risparmia quasi due ore ogni dieci chilometri percorsi. Che in Africa, dove l'alternativa è il camminare, il mezzo a pedali bicicletta faccia risparmiare tempo è evidente. Ma questo oggi accade anche in Italia, dove pure le alternative sono diverse. Nel marzo scorso, a Milano, si è svolto il Trofeo Tartaruga: su una distanza di 7 km, a metà mattina, si sono fronteggiati uno scooter, un taxi, un'auto privata, la metropolitana e una bici. Quest'ultima ha trionfato, percorrendo il tragitto in 11 minuti, seguita dallo scooter con 19, dalla metro con 21 e poi dalle due auto, quella pubblica con 23, quella privata con 30. A quanto risulta, tutti i mezzi hanno rispettato il Codice (quindi, per il ciclista, nessuna scorciatoia sui marciapiedi o avventure in contromano). I numeri dimostrano dunque che usare la bici conviene, tanto al Nord quanto al Sud del pianeta. Salvare i ciclisti è pertanto una buona idea, perché i ciclisti salvano il mondo, o almeno lo rendono un po' migliore.
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Daniele Scaglione è responsabile per il campaigning di ActionAid, ed è autore di La bicicletta che salverà il mondo, (Infinito, Castel Gandolfo, pagg. 128,
€ 12,00), che sarà presentato martedì prossimo, alle 18.30, presso l'osteria Frizzi & lazzi di via Torricelli 5, Milano

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