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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2012 alle ore 18:57.

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Il bambino che collezionava paroleIl bambino che collezionava parole

Sarà che in principio era il verbo. E per creare un mondo - e poi capirlo - occorrono parole. Sarà che di un mondo chiuso fuori si raccolgono indizi, schegge, eccellenze e rarità. Mettendo in fila, contando, deducendo, per un'illusione di ordine ed esperienza. E sarà pure che tirar fuori parole dal dizionario, come conigli dai cappelli, sprizza l'incanto di essere avanti. Di essere un piccolo sovrano di genio, incoronato dalla noia e dalla solitudine.

Per questo ed altro Tochtli, bambino sveglio e triste, figlio di Yolcaut, re del narcotraffico messicano, colleziona parole e cose nel palazzo immenso e trasandato in cui vive recluso. Tra presenze fisse e ambigue e comparse misteriose, Tochtli conosce tredici, quattordici persone in tutto. Morti esclusi. Perché il mondo si divide in persone e in cadaveri, quelli decapitati, crivellati di proiettili o fatti a pezzi. E i cadaveri si contano, appaiono nei telegiornali, ma come conoscenze non contano più.

«Il bambino che collezionava parole» è un piccolo principe alla corte di Cose Grandi: vita e morte, fantasia e realtà, lealtà e tradimenti. Un bambino diseducato ad essere «uomo» sulla parabola del male e della supponenza. Senza piangere, senza ficcare il naso. Cercando di distinguersi dai «poveri stronzi ingenui». Incoronandosi in stravaganza con cappelli di ogni foggia e provenienza, per governare la solitudine con capricci da collezione, alla ricerca del mitico ippopotamo nano della Liberia.

Un minuscolo, grande libro d'esordio di Juan Pablo Villalobos - già analista di mercato e critico cinematografico - uscito in Spagna nel 2010, acclamato come caso letterario e selezionato in Inghilterra per il prestigioso Guardian Prize, come uno dei più significativi e innovativi romanzi d'esordio degli ultimi anni. Settantotto pagine senza moralismi e retorica, che crivellano di lapidaria, inconsapevole ironia di bambino il mondo sporco del narcotraffico, la Storia tutta, declinata in «ghigliottine per i re» e «spari per i presidenti», i diritti violati di amore e libertà dei piccoli. Quei piccoli che dicono la verità anche quando non la capiscono. Quando ne assimilano la versione di papà, pur nei sospetti dell'innocenza. E se la parola è un principio, è creatività e indizio, Tochtli colleziona parole difficili con cui aggettivare il mondo: «sordido, nefasto, lindo, patetico e fulminante».

«Il bambino che collezionava parole»
di Juan Pablo Villalobos
Einaudi pagg. 78
Euro 10

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