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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2012 alle ore 08:20.

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Può la bellezza struggente della natura, magnificamente evocata dalle immagini di La vita negli oceani, spingerci a salvaguardare le grandi distese d'acqua del pianeta? Può, più delle parole, dei ragionamenti, fare leva «sulla legge morale dentro di noi», di kantiana memoria? È ciò che ci si domanda guardando lo splendido documentario di Jacques Perrin e Jacques Cluzaud, già autori del Popolo migratore, che sarà presentato in anteprima a CinemAmbiente, in programma a Torino dal 31 maggio al 5 giugno.
Commuovono le stupende inquadrature di delfini che giocano tra aria e acqua al tramonto, le maschere inquietanti dei pesci degli abissi sospese in una nuvola di meduse impalpabili, il tricheco, quando avvolge con le pinne il suo cucciolo e lo coccola con colpetti di naso o le balene dalle mille scanalature che si avvitano per balzare all'unisono fuori dalle acque immobili di una baia del Nord. E allo stesso modo commuovono i suoni, così nitidi che pare di stare nella pelle rugosa della tartaruga che sbuffa mentre faticosamente guadagna la spiaggia o della foca quando ronfando si rotola sul bagnasciuga.
Le parole, scarse e non particolarmente incisive, scivolano via. Sono le immagini, i rumori e le musiche, a muovere nello spettatore il desiderio appassionato che tutta questa bellezza non sia destinata a scomparire. Un modo inedito ed efficace per sensibilizzare la popolazione alla protezione dell'ambiente, soprattutto pensando alla quantità e varietà di pubblico che probabilmente sarà attirata da questo titolo. Le belle immagini sono pure il cavallo di battaglia del film di Yann Arthus-Bertrand, La soif du monde (sempre in anteprima a CinemAmbiente). Anche qui i testi sono meno importanti e il grande protagonista è l'acqua, tutta l'acqua del pianeta, inquinata, sprecata o centellinata da due miliardi e mezzo di persone.
Cosa resterà dei nostri oceani – e dell'Artico intiepidito e per questo obiettivo di un'inedita corsa all'oro nero –, ci si domanda guardando l'inquietante The Big Fix. Un documentario vecchio stile in cui i registi, Josh Tickell e Rebecca Tickell, raccontano la loro verità sul disastro della piattaforma Deep Water Horizon, che per 87 giorni ha riversato petrolio nel golfo del Messico. Gli allarmi cinicamente ignorati, la corruzione, l'occultamento delle prove, lo straordinario potere delle società petrolifere sui governi, tale da far passare in secondo piano i diritti dei cittadini, compreso il fondamentale diritto alla salute.
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