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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2012 alle ore 08:03.

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Il violinista tedesco-americano David Garrett (Ansa)Il violinista tedesco-americano David Garrett (Ansa)

A Milano e zone contigue si segnalano avvenimenti importanti che muovono le acque non sempre impetuose della musica locale. Nel capoluogo si è appena concluso un festival di tre giorni con illustri musicisti di jazz italiani e giapponesi. Il titolo del festival, quasi impronunciabile – nientemeno che JapztItaly, avete letto bene – serve comunque a capire di che si tratta. Il neologismo è una sorta di fusione fra Japan, Jazz e Italy che individua un jazz benefit a favore dei bambini giapponesi che tuttora scontano le conseguenze del tragico terremoto del marzo 2011 seguìto dal maremoto e dall'esplosione delle centrali nucleari di Fukushima. Vi hanno partecipato fra gli altri Roberto Zorzi chitarra e maestro di cerimonie, Andrea Centazzo batteria (che risiede da tempo in California), Franco D'Andrea pianoforte, Guido Mazzon tromba e flicorno, il fotografo Roberto Masotti operatore multimediale, e fra i giapponesi Sadao Watanabe sax alto, Akira Sakata sax alto, Tiger Okoshi tromba, Kizan Daiyoshi shakuhachi (è il flauto tradizionale giapponese), Akira Onozuka pianoforte. I musicisti si sono disposti in varie formazioni, salvo D'Andrea e Centazzo che si sono esibiti soltanto in solo.

Piace assai poter affermare che di fronte a musicisti giapponesi di grande spessore (basti pensare a Watanabe e Okoshi) gli italiani hanno fatto un figurone. Stupendi vertici espressivi sono stati conseguiti da Franco D'Andrea, mirabile interprete creativo soprattutto di Thelonious Monk e di un Naìma di John Coltrane di rara bellezza. E uguali meriti vanno all'improvvisazione pura, ribattezzata da Roberto Masotti ImproWYSIWIG per dare spazio all'acronimo del detto inglese What You See Is Whar You Get, cioè «quello che vedi è quello che c'è». Vi hanno partecipato lo stesso Masotti, autore di un fondale multimediale imponente e cangiante, sul quale hanno gareggiato in bravura e fantasia Mazzon – che ha improvvisato perfino un breve e indovinatissimo intermezzo di pianoforte – Sakata e Daiyoshi.

L'Orchestra Verdi ha ospitato all'Auditorium di Milano, per il concerto n.34 della sua stagione sinfonica 2011-2012 diretto dal texano John Axelrod, il violinista tedesco-americano David Garrett. Questo fortunato mortale di 31 anni è alto, bello, asciutto e con il suo incantevole violino Stradivari sa suonare divinamente qualunque cosa: i televeggenti più assidui ricordano la sua presenza al recente festival di Sanremo («è pure legittimo divertirsi suonando con i Nirvana», dice). I suoi due ultimi cd sono Rock Symphonies e Legacy per Decca. Nel primo si sbizzarrisce anche a rockizzare alcune partiture classiche con tecnica impeccabile (e con qualche esito discutibile); nel secondo offre un'interpretazione di rara bellezza del Concerto per violino e orchestra op.61 di Beethoven con la Royal Philharmonic Orchestra diretta da Ion Marin. Per intenderci meglio, Garrett è molto apprezzato da direttori quali Daniel Barenboim e Zubin Mehta, e comunque da qualche tempo è tornato a dedicarsi ai maggiori compositori accademici. Per Milano ha scelto il Concerto per violino e orchestra op.26 di Max Bruch che – dice sempre lui – «è un superclassico con un Adagio superbo e un Allegro dove il violino dialoga con tutti gli altri strumenti».

Bene, la cronaca è questa. Garrett entra in palcoscenico con giacca scura sportiva aperta, maglietta bianca girocollo con disegno o ritratto pettorale indecifrabile, calzoni jeans blu notte forse di velluto, stivaletti di camoscio. I capelli sono biondi ossigenati con breve coda di cavallo, altre volte li rammento quasi neri. Nel pubblico, contrariamente al solito, si notano molti giovani e l'applauso di sortita è fresco di entusiasmo. Il Bruch di Garrett (e di Axelrod) è un po' accentuato ma sublime, metà per merito dello Stradivari e metà per via della cavata superba di Garrett, dolce o vigorosa dove occorre. Alla fine l'ovazione scuote la sala, applaudono anche il direttore e i professori dell'orchestra, mai visto niente di simile all'Auditorium. Garrett concede tre bis ma i giovani ne vorrebbero altri, poi scende per firmare i suoi dischi quasi in stato d'assedio. C'è dunque speranza per la musica «forte», come la chiama il musicologo Quirino Principe.

Ed ecco l'ultima notizia. Dal 31 maggio al 10 giugno ha luogo la nona edizione del JazzFest di Novara in vari luoghi della città (Auditorium, Galleria Base-x-Altezza, Broletto). Vale il viaggio. Fra gli appuntamenti vanno citati il sestetto Touch & Go di Vijay Anderson, la Mostra fotografica John Cage Wall di Roberto Masotti, l'Italian Instabile Orchestra, il Cuarteto di Ricardo Gallo e Nick Pride & The Pimptones featuring Snowboy.

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