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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2012 alle ore 11:24.

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Può questo capolavoro assoluto indagato infinite volte, attualizzato, destrutturato, contaminato, offrirsi ancora inedito e inesplorato nel suo scandaglio e regalarci ulteriori significati? Mai rappresentazione di Amleto è stata così destabilizzante ai nostri sensi come questa di Lenz Rifrazioni.

Con quest'opera, ritradotta nei nodi concettuali e tematici per trarne una nuova espressività, la lunga ricerca teatrale condotta dalla compagnia parmense giunge ad un esito spiazzante di riscrittura drammaturgica su corpi borderline in cui, il confine tra amore, follia e morte, trova ulteriore senso. Umano e artistico. Ad incarnare le parole shakespeariane, abitandole con un'aderenza emotiva, personale ed unica, che s'innerva nel tessuto mentale e fisico degli stessi attori "sensibili" diretti da Federica Maestri e Francesco Pititto, sono un gruppo di ex degenti psichici del manicomio di Colorno e ora ospiti della comunità terapeutico-riabilitativa di Pellegrino Parmense.

Con essi, e altri, la compagnia sperimenta da oltre dieci anni le proprie capacità espressive in un laboratorio permanente diventato esperienza esemplare in Europa. Ed ha il valore di un'esperienza vitale, indimenticabile, partecipare all'"Hamlet" in scena nella cornice esclusiva del Teatro Farnese.

All'interno della maestosa arena barocca di legno inizia il viaggio spaziale e mentale che si snoderà nelle sale della Pinacoteca e nel retropalco – con un prologo sullo scalone esterno e il ballatoio –, per ritornare infine nella vasta platea vuota. Qui una lunga passerella la unisce al palcoscenico. Al centro siede la regina Gertrude mentre l'usurpatore Claudio sosta dietro uno schermo. Entrambi li spiamo replicati in un film autonomo e colloquiale in cui il principe della straordinaria down, Barbara Voghera, inveisce contro di loro. Da qui seguiremo l'Amleto triplice, sdoppiato e uno, simile, in Paolo Maccini, a Buster Keaton; pedineremo queste presenze spettrali, clown, relitti, che ci condurranno nella fitta trama di un labirinto della mente dove dialogheranno tra busti scultorei, statue, quadri e affreschi. In una stanza della Galleria ci accoglierà l'immagine del San Sebastiano di Josaphat Araldi con l'unica freccia conficcata in fronte, eloquente raffigurazione di una condizione umana dove il l monologo "to be or not to be" diventa urlo muto della malattia, della reclusione, della debolezza, della vecchiaia. In tre disquisiranno di bellezza e del fantasma del padre vicino all'enorme scultura romana di Ercole; Claudio pregherà l'"Ave Maria" chiedendo perdono, per essere diventato assassino, davanti alla pittura di un Compianto della Vergine; da un angolo Amleto avanzerà urlando la sua sete di vendetta, mentre l'altro principe, interloquendo col Polonio proiettato, affonderà la spada nell'aria uccidendolo come un topo.

Non solo queste, ma tutte le parole e i gesti – mai così veri nel loro linguaggio "detto", rigoroso e istintuale, vissuto, autorappresentato - troveranno un corrispettivo nelle sequenze video di scene e volti proiettati sulle pareti. Nelle inquadrature cinematografiche una sorprendente, inconsapevole assonanza sembrerebbe legarli, per il tema assoluto della sofferenza nelle sue diverse forme, al film muto "La passione di Giovanna d'Arco" di Dreyer. E davanti all'immagine di una Passione di Cristo, grido dell'identità marginale, si consuma uno struggente e divertente dialogo tra i due Amleti in bombetta identificatisi nei due ladroni accanto ad un'esile croce dalla quale l'uno schioderà l'altro.

Lo sguardo innocente consegnato al mistero del dolore è anche nel loro chiedere il perché della sofferenza dei bambini guardando verso il basso le miserie umane. Nel viaggio a ritroso ritroveremo Ofelia che, impazzita per l'amore negato, si avvierà verso il fiume scomparendo dalla porta dopo aver attraversato la lunga passerella.

Infine individueremo ancora Amleto col teschio in mano a dire quel "essere o non essere" sperduto tra le gradinate del teatro; mentre il corpulento Orazio magrittiano vagherà silenzioso fino allo spegnersi della luce. Ci resta l'indicibile emozione di un viaggio tempestoso tra onde di marosi etici ed estetici, traghettati da questi compagni di navigazione, corpi di dolorosa poesia e d'imperfetta bellezza che l'arte del teatro ha liberato dall'involucro della mente.

"Hamlet" da "Amleto"di William Shakespeare. Creazione di Maria Federica Maestri e Francesco Pititto; traduzione, drammaturgia, imagoturgia Francesco Pititto; regia, scene, costumi Maria Federica Maestri, musica Andrea Azzali Monophon. Interpreti Franck Berzieri, Giovanni Carnevale, Guglielmo Gazzelli, Paolo Maccini, Luigi Moia, Delfina Rivieri, Vincenzo Salemi, Elena Varoli, Barbara Voghera. Produzione Lenz Rifrazioni. Al Teatro Farnese di Parma.
www.lenzrifrazioni.it

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