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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2012 alle ore 14:39.

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C'è un personaggio di primo piano della meravigliosa stagione della Swinging London che non ha mai suonato in un disco, girato un film o messo la propria firma sotto un'opera d'arte Pop. Si chiama Barry Miles, ha 69 anni e il suo nome probabilmente dice poco al pubblico italiano.
Eppure è stato un lettore accanito, un libraio appassionato, un esperto d'arte, un instancabile organizzatore culturale e ancora oggi, tra l'Inghilterra e gli States, è ritenuto giornalista autorevolissimo se si tratta di declinare il termine controcultura.

Per capirci: negli anni Sessanta fu proprietario della leggendaria «Indica Gallery», la libreria alternativa londinese in cui tra le altre cose John Lennon conobbe Yoko Ono. Poi diede del tu agli eroi della beat generation Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti, frequentò il giro degli Angry Young Men John Osborne e John Braine, tenne a battesimo la Pop art inglese ed è stato diretto testimone delle innumerevoli svolte (mod, hippie, freak, punk e new wave fino all'attuale confusione postmoderna) dell'arte nella City. Ragioni per le quali merita di essere accolta con tutti i crismi del caso la pubblicazione in Italia di «London Calling.

La controcultura a Londra dal '45 a oggi» per Edt (euro 23, pp. 518). Un testo importante – l'aggettivo per una volta non è abusato – che analizza le molteplici incarnazioni (contro)culturali della capitale inglese. Impreziosito da una selezione di foto d'epoca, alcune delle quali scattate dall'autore.

Tra Beat e Pop. Il testo di Miles parte dall'immediato dopoguerra a caccia delle ragioni sociali e culturali più profonde che innescarono l'underground londinese. Si ripercorre la genesi della mostra «This is Tomorrow» che nel 1956 aprì le porte alla Pop art britannica. C'è spazio per le illustri frequentazioni dell'autore, come quella di William Burroughs, romanziere de «Il pasto nudo» che visse per circa dieci anni nella City e che ritroviamo fotografato, in posa pensosa, all'epoca della pubblicazione di «Nova Express».

Al 102 di Southampton Row. L'attenzione del lettore compie comunque un balzo quando la narrazione si concentra intorno a ciò che nei Sixties accadde intorno al numero 102 di Southampton Row. È lì che ebbe sede l'Indica Gallery (il nome era provocatoriamente ispirato alla canapa indica), esperienza imprenditoriale di Miles in società con John Dunbar. Un po' libreria, un po' galleria d'arte. Avvenimenti e personaggi che «fecero» gli anni Sessanta si sono incrociati esattamente da quelle parti. Tra i finanziatori dell'iniziativa c'era Pete Asher, fratello della prima fidanzata ufficiale di Paul McCartney. Collegata al negozio era la redazione dell'«International Underground», quindicinale diretto da Miles e finanziato dallo stesso Macca. L'avanguardia del Groupe de Recherce d'Art Visuel di Parigi affidò all'Indica le proprie opere, Christo vi impacchettò oggetti vari ed eventuali, così come una giovane pop artist giapponese sfruttò l'occasione offertale da Miles e Dunbar per lasciare un segno nella storia. Si chiamava Yoko Ono e, proprio nella Gallery, conobbe Lennon. Per la cronaca: le decorazioni «stellari» alle vetrate del locale portavano la firma di un certo Michael English, l'artista psichedelico di «Hapshash and the Coloured Coat».

Il giro dell'Ufo e la stagione punk. Anche i paladini dell'era psichedelica si ritrovano immortalati nel volume: pagine appassionate sono infatti dedicate ai primi Pink Floyd guidati dal visionario Syd Barrett e ai Soft Machine, band progressive che prendeva nome dal romanzo di Burroughs. In pratica i due gruppi che bazzicavano fissi all'Ufo Club, in cui tanto per cambiare c'era lo zampino di Miles, vero e proprio king maker della Swinging London. Incandescente il racconto della rivoluzione punk, partita nella seconda metà degli anni Settanta dalle parti di King's Road, nella boutique di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. È lì che, tra tanti altri accidenti, i Sex Pistols si costituirono per perpetrare «la grande truffa del rock ad roll». Dall'altro capo del Tamigi echeggiava l'urlo di guerra dei Clash, quel richiamo di Londra («London Calling», appunto) che dà il titolo al libro. Continui a leggere e, superando il ri-flusso degli anni Ottanta con l'avvento dei neo-romantic, arrivi fino ai giorni nostri, nella metropoli cosmopolita in cui le imbalsamazioni di Damien Hirst dettano legge. Perché New York sarà pure la città che non dorme mai, ma Londra è il posto in cui evidentemente vanno a finire i più svegli.

Barry Miles
«London Calling. La controcultura a Londra dal '45 a oggi»
Edt, pp. 518, Euro 23

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