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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2012 alle ore 14:54.

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Nella foto: Louise Bourgeois, Arch of Hysteria, 1993. Courtesy Cheim & Read and Hauser & Wirth. Photo: Allan Finkelman - ©Louise Bourgeois Trust- Louise Bourgeois Trust/VAGA, New York, by SIAE 2012, opera in Arte torna arte, Galleria dell'Accademia, Firenze, 2012Nella foto: Louise Bourgeois, Arch of Hysteria, 1993. Courtesy Cheim & Read and Hauser & Wirth. Photo: Allan Finkelman - ©Louise Bourgeois Trust- Louise Bourgeois Trust/VAGA, New York, by SIAE 2012, opera in Arte torna arte, Galleria dell'Accademia, Firenze, 2012

La Galleria dell'Accademia di Firenze, proprio quella quotidianamente assalita dalle folle di turisti a caccia del «David» di Michelangelo, prosegue la sua meritoria battaglia per la diffusione dell'arte contemporanea. Grazie alla cocciutaggine della direttrice Franca Falletti, ecco l'ennesima grande mostra dedicata al contemporaneo, dove opere di oggi colloquiano in maniera sorprendente con capolavori del passato, dalle grandi pale fondo oro trecentesche, alle possenti forme michelangiolesche e le torsioni manieriste.

Curata dalla stessa Falletti insieme a Bruno Corà e Daria Filardo, presenta opere di numi dell'oggi oltre ad alcuni maestri del Novecento come Picasso (un Arlecchino) o Alberto Savinio. E se lo strepitoso Burri del 1953 varrebbe da solo la visita, all'occhio sono tante le occasioni di godimento estetico offerte. Ma il senso quasi violento dell'esposizione è quella sorta di rivelazione che la mente riceve nel colloquio fra storico e contemporaneo, dove ti viene quasi sbattuta in faccia la continuità, le dipendenze, la rete di relazioni linguistiche ed emozionali fra l'arte di ieri e di oggi. Ecco svelato il senso di quel titolo che potrebbe parere un po' criptico. «Arte torna arte» è una frase di Luciano Fabro teorizzata in una serie di sue lezioni fra il 1981 e il '97 che sintetizza come tutta l'arte si dipani da un'unica radice, quasi un flusso continuo che si contestualizza secondo ambito culturali e storici. L'esposizione si sviluppa in diversi spazi della Galleria, alcune opere sono ambientate nelle sale che custodiscono le collezioni storiche, altre, più delicate o intime, negli spazi dedicati alle esposizioni contemporanee. Dove ci si imbatte in uno dei cardinali di Bacon, bellissimo, del 1955, o in sorprendenti studi di Sol Lewitt su Piero della Francesca. Ma le emozioni forti sono riservate alle opere ambientate fra le collezioni storiche, talmente coerenti da sembrare «site specific». Come quel bronzo di Louise Bourgeois, del 1993, la cui torsione sembra fare a gara con quella del nudo di Pontormo appeso di fronte, o la purezza dei due monocromi di Yves Klein (1958, 1961), vero distillato cromatico dei polittici fondo oro fra cui sono esposti.

«Triumphans», riflessione sul crocifisso di Renato Ranaldi (1989), acquisisce una potenza dirompente fra le grandi croci medievali, mentre l'autoritratto di Olaf Nicolai come Narciso quasi si fonde con i calchi della gipsoteca. Menzione d'onore per i video, pochi, ma di qualità altissima. Oltre al maestro Bill Viola col suo dittico «Surrender», del 2001, su richiesta dell'artista esposto nella sezione più appartata del museo, al piano superiore, dove si va alla ricerca delle modalità di espressione delle passioni umane, ecco la pre-adolescente Ruth filmata da Rineke Dijkstra nel 2009 mentre è intenta a disegnare la «Donna piangente» di Picasso. Si sente solo il rumore della matita sul foglio in un set privo di ogni ambientazione, per concentrarsi esclusivamente sull'impegno della bimba. Ma su tutti, più di tutti, affascina la video-installazione di Fiona Tan «Provenance». Commissionatale dal Rijksmuseum nel 2008, è evidentemente ispirata alla ritrattistica fiamminga. Quelle che sembrano una serie di fotografie in bianco e nero si rivelano dei video, che lentamente ci svelano la personalità e l'ambiente dei singoli personaggi ritratti, tutti legati a vario titolo all'artista. Imperdibile.

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