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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2012 alle ore 08:19.

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La Georgia prospera grazie alle sette industrie della "p": «paper products, popcorn, peanuts, pecans, peaches, poultry and politicians (carta, popcorn, noccioline, noci, pesche, pollame e politici)»: non è una battuta di Saturday Night Live, ma di Let's go Usa, una delle guide cheap and chic degli Stati Uniti. Persino l'ospitalità, in questo paese sudista, è «peachy», dolce, vellutata e succosa; lo dimostra Martin Parr con uno sfacciato reportage nella capitale: Up and Down Peachtree. Photographs of Atlanta, appena edito in un libro da Contrasto. Parr è fotografo di fama internazionale, membro di Magnum dal '94 e smaliziato giornalista: benché ami definirsi, con puntiglio e umiltà, un «cronista», ha la caratura del l'artista, quasi un «anti-Cindy Sherman». È l'autore stesso a non prendersi troppo sul serio e a servirsi della fotografia in modo grottesco, in bilico tra commedia e tragedia: eclettico e amante del bianco e nero, questo maestro dell'illusione cromatica confeziona un'ottima docu-fiction sulla più contraddittoria delle città dell'America del sud.
Atlanta è un crogiuolo: per i gay è «Hotlanta», per i cinefili è la metropoli di Spike Lee, per i creduloni è il set di Via col vento, per i sognatori è la patria di Martin Luther King, per gli sportivi è un'ospite olimpionica, per i cantanti è la terra del rap, per i giornalisti è la sede della Cnn, per gli afroamericani è il simbolo del riscatto e per tutti è la città dell'irresistibile Coca-Cola. Così Parr può scherzare con bandiere, banderuole e colori, a cominciare dalla squillante copertina rossa, blu e bianca e dall'impaginazione a specchio: coppie di foto giustapposte, collage di figure e sfondi monocromi, singoli particolari isolati, ripetuti o ingranditi. Il montaggio, insomma, è a prova di strabismo e daltonismo: attenzione a non farsi sedurre e confondere dal gioco del doppio e dagli arditi accostamenti di verde e magenta, giallo e blu, rosso e ciano; attenzione a non focalizzarsi sui dettagli luciferini e abboccare al l'amo del filosofo della carta e del territorio: «Quelli che continuano a domandare "perché" sono come i turisti che davanti a un monumento leggono la guida – e proprio la lettura della storia della sua origine, eccetera, eccetera, eccetera, impedisce loro di vedere il monumento».
Il fotografo immortala la città lungo il suo crocevia, Peachtree street, dove si incontrano ultraortodossi in cravatta e transessuali in ciabatte, giovani e anziani, ricchi e poveri, famiglie e single, bianchi e neri. L'artista è conciliante, aborrisce l'aut-aut e le etichette: le foto non hanno titolo né didascalia; si leggono pochi marchi, tatuaggi e scritte pubblicitarie, siano sulla pelle, sui vestiti o sugli edifici. L'unico tabù è la privacy, il "nome e cognome" delle persone ritratte, anche se consenzienti, consapevoli e spesso allegramente autocandidatesi allo scatto. Qui sorge il «Problema Facebook»: «Alzi la macchina fotografica e le persone iniziano a mettersi in posa e a sorridere, come in quelle foto dei vecchi rotocalchi», spiega Parr nel suo blog. «A volte mi diverte dire alla gente che non mi interessa ritrarla… Ogni mese vengono caricate su Facebook quasi 6 miliardi di foto. Perché ne abbiamo bisogno? È una questione di insicurezza? Provate a immaginare di visitare un posto come turisti senza fotografarvi, filmarvi, registrarvi». Eppure, oltre alla standardizzazione dei comportamenti e alla sclerotizzazione delle pose, i social network non sono «così negativi. L'interesse per la fotografia è cresciuto. Ed è, dopotutto, la più grande arte democratica del nostro tempo. Nel passato la gente collezionava autografi, souvenir, o forse programmi televisivi. Adesso l'unica moneta valida è una foto sorridente».
Soggetti e oggetti sono tratti dalla vita quotidiana: piatti colmi di sandwich, fagioli neri, salse bordeaux; un fanatico che protesta contro i «pervert» accanto a un emaciato con il pugno alzato; una parata di omosessuali orgogliosi e un'orgogliosa madre che «ama i suoi figli gay»; turisti in aeroporto con le infradito, calzini e sandali, scarpe da vela, braghe corte e cappelli a falda larga; bambine che sbocconcellano chupa-chups giganti e ragazzotti che addentano stinchi di maiale bollenti; biondissime ragazze abbronzate e biondissime ragazze pallide; spiedini lunghi, bevande zuccherate, con ghiaccio, con bollicine; una coppia balla in piscina e tre vecchiette cantano un gospel; un fedele sventola una selce in chiesa e un panda mangia bambù allo zoo; corpi giovani, rughe vecchie, bocche rifatte, seni nuovi; manicaretti e salotti, diavoli e acquasantiere. Parr non cade in tentazione: i doppi sensi e le allusioni sessuali sono solo abbozzati, mai ostentati, volgari o pacchiani. Up and Down Peachtree non è la versione raffinata del Cafonal nostrano: è un'opera documentaria e giornalistica, il ritratto di un paese che confonde la fama con la fame, e la sete con le sette.
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Martin Parr, Up and Down Peachtree, Contrasto, pagg. 160, € 30,00;
www.martinparr.com

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