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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2012 alle ore 08:15.
Qual è l'argomento di conversazione preferito della maggior parte delle persone? Parlare di se stesse. In media ci impegniamo a raccontare le nostre esperienze soggettive per il 30-40% delle parole che proferiamo. Perché lo facciamo? Perché ci piace. Lo abbiamo sempre saputo, ma ora abbiamo anche il conforto dell'evidenza neurobiologica.
In uno studio appena pubblicato su Pnas («Disclosing information about the self is intrinsically rewarding»), Diana Tamir e Jason Mitchell della Harvard University hanno mostrato attraverso tecniche di neuroimaging che parlare di quanto ci riguarda da vicino (rispetto ad altri argomenti) attiva i circuiti mesolimbici della ricompensa (in particolare nucleo accumbens, area tegmentale ventrale), gli stessi sensibili a sesso, cibo, cocaina e denaro. Non solo, pur di scegliere le domande che consentivano loro di parlare di sé, i soggetti dell'esperimento si sono mostrati addirittura disposti a guadagnare fino al 25% in meno di quanto avrebbero potuto scegliendo altri argomenti di “conversazione”. Come dire, siamo disposti a pagare di tasca nostra pur di condividere con altri i nostri pensieri.
Come capita spesso, le spiegazioni evoluzionistiche del perché il nostro cervello sia programmato in questo modo si sprecano. Gli autori concludono che «svelare i nostri pensieri interiori a chi ci sta intorno può servire a perpetuare comportamenti che sottostanno al l'estrema socialità della nostra specie». Il che, occorre ammettere, non aggiunge granché a quanto già sapevamo. Ma che tuttavia spiega perché blogghiamo, aggiorniamo di continuo il nostro stato su Facebook, condividiamo foto e twittiamo. Semplicemente, farlo ci dà piacere.
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