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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2012 alle ore 08:17.
L'etimologia della parola «reliquia» porta direttamente al verbo latino relinquere che ha tanti significati: lasciare indietro, abbandonare, oppure lasciare in eredità. Fa capo allo stesso verbo latino anche la parola «relitto», che è in genere un rottame, non certo qualcosa da lasciare all'adorazione dei posteri. Ma nel viaggio alla ricerca di sacri resti compiuto da un giovane narratore e saggista americano, Peter Manseau, i due esiti del verbo latino si incontrano: girando intorno al mondo a caccia di reliquie Manseau si è quasi sempre imbattuto in mucchi di rottami. Rottami in senso proprio, materiale, ma anche nel senso di resti logori ma non per questo innocui di vecchie vicende, contese o conflitti. Un intreccio di passioni che ha dato luogo a un singolare reportage, ora in italiano con un titolo, La bottega delle reliquie, che è meno efficace di quello, crudo e diretto, dell'edizione americana: Rag and bone, straccio e osso, cioè l'aspetto misero e inquietante che i preziosi brandelli spesso presentano.
Manseau ha con la religione un rapporto molto stretto: è nato dall'unione di un prete e di una suora che hanno abbandonato i voti ma non la loro fede, e lui stesso frequenta un dottorato di teologia alla Georgetown University, dove insegna Creative writing. La storia religiosa lo appassiona tanto profondamente quanto irregolarmente: nel suo romanzo La figlia del macellaio si è calato talmente bene nel mondo della devozione ebraica da ricreare un vero romanzo yiddish e da vincere nel 2008, primo non ebreo prescelto, il National Jewish Book Award.
Anche le reliquie sono un soggetto estremamente romanzesco per Manseau, non perché lui intenda falsare e romanzare le loro vicende, ma perché, come scrive, «i corpi narrano delle storie, la trasformazione offerta dalla fede non riguarda solo, come asseriscono i Vangeli, il "Verbo fatto carne", ma anche la carne fatta verbo». Un dito solitario in una teca, un pelo di barba, un dente annerito, un pezzo di tibia sono eloquenti quanto un grandioso monumento se solo non ci si ferma alla mera apparenza, e il suo punto di partenza per il tour che lo ha portato da Washington allo Sri Lanka, ad Aleppo come a Padova o in California, è che se sull'autenticità delle reliquie nessuno può giurare «il modo migliore di trattarle è quello di dedicare loro il rispetto e la cura che ogni corpo si merita. A chiunque sia appartenuto». Di corpi o di carne al fuoco delle parole e della curiosità, scettica ma non beffarda, del viaggiatore qui ce n'è molta.
A partire dai piedi di Francesco Saverio in una bara d'argento e cristallo nel santuario annesso alla Casa Professa dei gesuiti a Goa, dove il missionario spagnolo seguace di Ignazio di Loyola fu inviato dai portoghesi alla metà del Cinquecento e dove oggi i visitatori più numerosi della reliquia sono pellegrini hindu che, incuranti dell'anagrafe religiosa, vogliono visitare il luogo che custodisce le spoglie di un santo. Anche a Hollywood poco conta l'ortodossia della fede in un locale non distante dalla «Walk of Fame» – prima studio per tecniche del suono poi garage per le fuoriserie di Elvis Presley ora centro yoga – che ospita la mostra itinerante di varie reliquie buddhiste, resti attribuiti allo stesso Buddha che vengono portati in tournée in luoghi che hanno poco in comune tra loro, come due penitenziari in Texas, una chiesa unitariana in Florida, scuole elementari. Invece le questioni di ortodossia diventano molto strette laddove le reliquie, come spesso accade, sono strumenti di contesa e controllo politico, per esempio nel Tempio del Sacro Dente (di Buddha) nello Sri Lanka o nel santuario Hazratbal Shrine nel Kashmir, che custodisce un pelo della barba di Maometto sempre minacciato dal conflitto tra hindu e musulmani. E molto presente è la politica anche nella storia dei resti di Elisabetta Feodorovna Romanova, moglie luterana di un membro della famiglia degli zar, che fu gettata in un pozzo nel 1918 dagli uomini della polizia segreta bolscevica. Dice la sua leggenda che, benché i carnefici gettassero un corpo sull'altro e poi una granata e poi ancora appiccassero fuoco, dal fondo del pozzo continuò a uscire a lungo un soave inno religioso. Ma quando fu santificata i suoi resti non ebbero affatto un destino soave. Elisabetta aveva deciso di convertirsi alla fede ortodossa dopo un viaggio a Gerusalemme, dove infatti sorse un convento di suore a lei consacrato con un ricco patrimonio di reliquie, ma dopo la caduta del comunismo il clero russo cominciò a richiederle e la vicenda si complicò così tanto – tra spedizioni parziali, sotterramenti, imprese spionistiche – che la suora che le custodiva finì in carcere arrestata dall'autorità palestinese nel cui terreno aveva sconfinato per difendere l'eredità corporea della granduchessa.
Manseau ha uno sguardo né devoto né dissacratorio, ironico ma anche rispettoso, perché a lui interessa non tanto la fede ma il corpo, quello dei morti ma anche quelli dei vivi che li custodiscono e che aggiungono la loro storia alla leggende delle reliquie: e davvero le figure di questi custodi costituiscono una galleria di tipi romanzeschi, come la bionda americana che imballava frutta ed è diventata l'autista delle reliquie di Buddha, il giovane e smarrito padre Shannon a Goa che accoglie gli hindu e i cattolici senza fare differenza e il paleopatologo francese che cerca di stabilire l'autenticità di una costola di Giovanna d'Arco in un'atmosfera che ricorda le indagini di Kay Scarpetta, della dottoressa Brennan e i metodi di CSI. Seguendo i corpi e le loro storie il viaggio che comincia a Padova, di fronte alla cappella con la Lingua incorrotta di Sant'Antonio, si conclude a Washington D.C. evocando reliquie d'altro genere di cui l'America è piena, laiche ma non per questo oggetto di minor culto, come i capelli di George Washington o le lenzuola e i fazzoletti imbevuti del sangue di Lincoln o l'unghia del piede di Elvis Presley. Ma si conclude, soprattutto, con una rivelazione: il tour tra i sacri resti è stato condotto dall'autore mentre aspettava, e spiava tra ecografie e analisi di vario tipo, la nascita di sua figlia. Nella prima pagina del suo racconto ha scritto «Questo libro parla della vita», nell'ultima spiega perché: «Se la fede non riguardasse la cruda realtà della vita, cosa avrebbe da offrirci?».