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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 17:35.
Non è una rivalità musicale classica. Niente a che vedere con i tormentoni Beatles-Rolling Stones, Duran Duran-Spandau Ballet, Oasis-Blur e nemmeno Claudio Villa-Gianni Morandi. Non è una rivalità sportiva. Scordatevi roba epica tipo Coppi-Bartali, Mazzola-Rivera, Nadal-Federer. La «singolar tenzone» che contrappone Madonna a Lady Gaga semmai ricorda più l'ostilità che divide/unisce due lottatori di wrestling. Spaccano a metà il pubblico di riferimento, certo. Poi si odiano, si stuzzicano, si accusano vicendevolmente attraverso i media delle peggiori nefandezze e si insultano. Ma in fondo sono complici e, a fine ostilità, ci starebbe benissimo una birra assieme. Perché, a conti fatti, sono ciascuna l'immagine riflessa dell'altra.
Prendete le ultime punzecchiature. Madonna s'è esibita ieri sera a Roma, prima data della tournée italiana, Lady Gaga è in tour in Nuova Zelanda. Madge esordisce all'Olimpico con un «There's just one Queen» (C'è solo una regina) canzonando il giubileo di diamante di Elisabetta II e al tempo stesso inviando un avvertimento alla rivale: la Sovrana sono io e il pop è mio attributo. Più diretto l'attacco al momento di cantare «Express yourself», suo brano del 1989 che, in un efficace mash up, si trasforma in «Born this way», hit della epigona dell'anno scorso. Le due canzoni si somigliano parecchio e il fine di Louise Veronica Ciccone è dimostrare che Stefani Joanne Angelina Germanotta ha copiato. Un po' come facevano i Jethro Tull quando dal vivo dedicavano «We used to know» agli Eagles, ritenendo «Hotel California» il frutto di un plagio ai loro danni.
Quindi Madonna 2 – Lady Gaga 0. La partita si rimette però subito in equilibrio: dalla Nuova Zelanda Germanotta accorcia le distanze rispedendo al mittente le accuse di plagio («Non ho copiato») e poi pareggia il conto spiazzando la rivale: «Non voglio essere regina di niente, ma solo sua amica». Non c'è che dire: un affondo irresistibile. Pareggio.
Vite in parallelo. In ogni caso, a leggere in parallelo le vite delle due dive pop, le affinità superano di sicuro le divergenze. Entrambe di origine italiana: Ciccone vanta nonni abruzzesi, Germanotta siciliani. Per carità, la differenza d'età ha un suo peso: se Louise Veronica viene alla luce nel '58, quando Pelé alza la sua prima coppa Rimet, Stefani nascerà nell'86, a pochi mesi dal Mondiale che incorona Maradona campione. In più la prima è del Michigan, la seconda di Upper West Side Manhattan. Ma guardandole una a fianco all'altra pochi sarebbero disposti a credere che la prima potrebbe essere madre della seconda. Merito di dieta, ginnastica, cabala e chirurgia plastica. Riferimenti musicali e immaginario, poi, coincidono: il pop elettronico è vangelo, i concerti liturgie da celebrare in abbigliamento fetish, il conformismo (meglio se religioso) nemico generico da combattere. E allora vai a scandalizzare con ritratti da vergine che piange sangue, crocifissi sbandierati e chierici che piroettano sul palco. Perché Madonna è in fondo l'artista che ha ispirato la piccola Germanotta inducendola a diventare Lady Gaga.
Quella volta al «Saturday Night». I primi successi della giovane stella devono avere anche destato simpatia nella vecchia leonessa: memorabile la gag del 2009 al «Saturday Night Live» in cui le popstar prima ballano insieme, poi finiscono per darsele di santa ragione. Un duello sexy - considerando l'abbigliamento - di quelli che gli appassionati del genere definiscono cat-fight. Profetico, considerando gli sviluppi a venire. Perché il fenomeno Lady Gaga esplode e all'ape regina Ciccone comincia a stare sempre meno simpatico. Ai giornali non lo nasconde. Il francese «Le Soir», l'estate dell'anno scorso, la intervista e lei esterna: «Non commento un possibile rapporto tra le sue ossessioni e la mia musica perché non so se il suo comportamento sia basato su qualcosa di profondo e autentico o invece superficiale».
Lei è peggio di me. Qualche mese più tardi Madonna rincara la dose rispondendo a una domanda maliziosa del settimanale «A» sull'ammirazione dell'epigona nei suoi confronti: «Non mi interessa quello che dice Lady Gaga. E non so neanche se la sua stima nei miei confronti sia sincera». E finisce per estrarre l'asso nella manica della strana somiglianza tra «Born this way» ed «Express yourself». La Germanotta risponde a tono, malignando sui flop della carriera della rivale, lunga e non sempre all'altezza. I fan la sostengono: sarebbe stata Madge a copiare la cantante 26enne, lacrimando nel video di «Girl gone Wild» gli stessi liquidi organici già versati da Stefani. Chissà se se ne verrà mai a capo. Vero è che, fino a quando durerà la «singolar tenzone», i giornali avranno da scrivere, le due artiste copertine da spartirsi e dischi da vendere. Litigare conviene a tutte e due. Proprio come fanno i lottatori di wrestling. L'importante è che ci siano i riflettori accesi.
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