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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2012 alle ore 16:08.

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«A big do isn't really me». Del tipo: fare le cose in grande non è da me. Curioso a dirsi ma sir Paul McCartney – anima melodica e calcolatrice dei Beatles, già protagonista della British invasion, precursore del rock sinfonico e di chissà quante altre cose - ha liquidato così quanti gli chiedevano come avrebbe festeggiato il suo settantesimo compleanno.

La ricorrenza è prossima: cade esattamente lunedì 18 giugno. Fosse stato per gli inglesi, chissà per l'occasione quanti ritratti bronzei avrebbero scoperchiato in onore di chi ha avuto l'onore di chiudere il giubileo di diamante di Elisabetta II. Lui però a quanto pare preferisce una roba tra pochi intimi: niente party da top star planetaria, giusto una festicciola con amici, figli e ovviamente la terza moglie Nancy Shell, colei che gli ha fatto riscoprire cos'è l'amore dopo il divorzio gossipparo con Heather Mills (e si vede: solo un uomo profondamente innamorato avrebbe potuto incidere un disco da crooner come «Kisses on the bottom»).

Sei anni dopo i 64. Malgrado i famigerati 64 anni - quelli da trascorrere a oziare con i nipotini come immaginava in «When I'm sixtyfour» - siano passati da ben sei anni, non se ne parla proprio di appendere bassi, chitarre e vari armamentari rock al chiodo. E neanche di finire a fare il cantante sentimentale che si esibisce solo per milionari annoiati. «Devo dire – ha rivelato al Daily Telegraph - che Nancy e io ci siamo divertiti parecchio a immaginare me con al mignolo un piccolo anello di strass e davanti un bicchiere di whiskey e soda, mentre me ne sto sul palco seduto su un alto sgabello a suonare il piano e a farmi sei mesi a Las Vegas. È divertente pensarci per un secondo. Per poi escludere del tutto la cosa». Si accettano scommesse sul fatto che continuerà a riempire stadi per chissà quanto tempo ancora.

Un Beatle non va mai in pensione. Un Beatle non può chiamarsi fuori. Al massimo lascia per cause di forza maggiore, com'è stato per John Lennon e George Harrison. Ma soltanto per consegnarsi definitivamente alla storia. Del resto Paul è già «morto» una volta, in quel meraviglioso scherzo situazionista ideato da John che consisteva nel riempire le copertine dei dischi dei Beatles di indizi che facessero pensare al suo decesso. Meglio comunque non ricordare troppo al festeggiato l'età che ha. Come simpaticamente ha deciso di fare Paul Weller, ex leader dei Jam nonché protagonista della scena britannica da fine anni Settanta in poi: il modfather ha infatti inciso una cover di «Birthday», brano di Macca contenuto nel leggendario «White Album», che per il solo 18 giugno sarà scaricabilea pagamento da internet. I proventi della vendita verranno devoluti all'organizzazione benefica War Child. Spiegando le ragioni della sua iniziativa, il 54enne Weller ha chiarito: «Quell'uomo è stato e ancora è un'ispirazione immensa e continua per me. È stato per lui e per i suoi tre amici che ho preso in mano la chitarra. L'ho visto suonare di recente e mi ha ispirato come sempre, era bravissimo». Vagli a dare torto.

Questione di zodiaco. Premesso che l'oroscopo è roba da casalinghe disperate, nel caso di Paulie vale la pena fare un'eccezione e leggere il profilo zodiacale dei nati il 18 giugno, segno gemelli: persone influenti che si muovono nell'ombra esercitando il loro potere dietro le quinte. Sono dotate di un enorme ascendente sugli altri, a prescindere da limiti spazio-temporali perché in grado di trasmettere energia a distanza. Pertanto risulta sconsigliato averli come nemici. Che altro è se non il quadro spiaccicato della parabola umana e artistica di McCartney dentro e fuori i Beatles? Da ragazzino entrò nel gruppo di Lennon proponendosi come spalla. Aveva doti tecniche superiori, ma il suo trucco consisteva nel non scoprire subito le carte, lasciar parlare i fatti. Dal '67 in poi i Fab Four, quattro moschettieri senza leader dichiarato, in cui tutti cantano e contano, faranno esattamente quello che lui vorrà. Fino a sciogliersi quando quel geniaccio sregolato di John non starà più al gioco. Proprio Lennon capirà a sue spese cosa significa avere Paul come nemico. E con l'acida «How do you sleep?» si vendicherà: «Una faccia carina può durare un anno o due».

Sentimentale non troppo. Fuori dal comune le sue doti compositive. Per quanto registrate con il marchio paritetico Lennon-McCartney sulla base di un accordo giovanile che Paul di recente ha provato a ricontrattare, sono sue le ballad più famose del gruppo: «Yesterday», «Michelle», «Hey Jude», «Let it be». Lui il bravo ragazzo e John il bad boy del gruppo? Non proprio: il giovane McCartney s'è inventato il concept psichedelico di «Sgt. Pepper», la canzone che ha ispirato a Charles Manson il massacro di Cielo Drive («Helter Skelter») e persino l'esplicito blues «Why don't we do it in the road?» Perché il bello della liaison artistica tra John e Paul stava proprio in quel lasciarsi contaminare reciprocamente. E senza McCartney i Fab non si sarebbero mai spinti fino al sinfonico lato b di «Abbey Road».

Il Mozart del ventunesimo secolo. Pure la carriera solista di Macca meriterebbe di essere riconsiderata. L'esordio di «McCartney» (che Lennon definì «muzak», robaccia) e il bucolico «Ram» sono pieni di spunti interessanti, mentre «Band on the run» è a suo modo un piccolo capolavoro. Qualche caduta di stile anni Ottanta pure c'è (come spiegarsi altrimenti il riempitivo di «Ou est le soleil»?) ma al di sopra di tutto risulta impressionante la mole di materiale musicale che ha prodotto in cinquant'anni: 12 Lp con i Beatles, 22 album in studio e otto live da solo. Le partiture che portano il suo nome, impilate una sull'altra, comporrebbero un volume ponderoso degno di un compositore del Settecento. E forse quando parliamo di McCartney dovremmo proprio scomodare la figura di Wolfgang Amadeus Mozart. Niente male per uno che fa musica da quando era bambino e non s'è mai degnato di imparare a leggere il pentagramma.

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