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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2012 alle ore 08:16.

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Emilio Segrè, che aveva contribuito alla scoperta di Fermi dei neutroni "lenti", nel 1955 vinse il Nobel insieme a Chamberlain per la scoperta dell'antiprotone, avendo dimostrato l'esistenza di una particella di massa uguale e contraria al protone, capace dunque di annullarlo.
Ma la vera epopea "poetica" di Segrè sta nella scoperta che egli effettuò quando ancora insegnava in Italia, a Palermo, prima della "fuga" del 1938. Era da anni alla ricerca di uno degli elementi atomici ancora mancanti nella tabella contemplata dai fisici: il n. 43. Bombardando l'elemento n. 42, il molibdeno, egli si accorse che se ne ricavava un nuovo elemento stabile: era proprio il n. 43! Si trattava di un elemento non esistente in natura, cioè del primo elemento artificiale mai creato prima dall'uomo. Inoltre il tipo di radioattività emessa dal molibdeno bombardato era – a causa di un fenomeno di isomerismo nucleare – di vita lunga, utile quindi nelle applicazioni di medicina nucleare.
La scoperta di Segrè apriva le porte a un uso assai pacifico dell'energia nucleare, in ambito medico. Questo nuovo elemento, che per molto tempo non ebbe nome, alla fine lo scienziato decise di chiamarlo Tecnezio, dal greco technetós, che in greco significa «artificiale», proprio per sottolineare come nell'era contemporanea l'attività dell'uomo si intreccia con l'opera della natura.
È in un passo della Fisica di Aristotele che si legge proprio che: «Alcune cose che la natura è incapace di effettuare, l'arte – nel senso della scienza – le compie». La specie umana si comporta come la natura, diviene una «seconda natura» allorché interviene sul reale modificandolo mediante la tecnica. La disposizione a generare tecnicamente cose che non esistono in natura – come è accaduto con l'elemento 43, il Tecnezio di Segrè – è un fenomeno del tutto naturale per la specie umana.
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