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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2012 alle ore 08:18.

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Un codice miniato, scriveva John Ruskin, è come una cattedrale piena di vetrate, di musiche e di preghiere, il tutto rilegato per poterlo mettere in tasca. Ce ne vorrebbe una assai capace per contenere Les Belles Heures du Duc de Berry, un capolavoro del gotico internazionale conservato dal 1954 ai Cloisters di New York. Chi potesse farlo avrebbe in tasca non solo la chiesa con le sue vetrate, le sue preghiere e le sue musiche, ma un mondo straordinariamente vario e variegato con i suoi mari, i suoi cieli, le sue nuvole, i suoi verdi pascoli, le sue montagne, i suoi torrenti, i suoi deserti, i suoi castelli, i suoi monasteri e le sue certose, le sue città turrite, i suoi cimiteri, i suoi santi, i suoi angeli, i suoi diavoli, i suoi animali, il tutto condotto con colori di infinita sottigliezza, ora tenui, sfumati, ora lucidi e squillanti. Temporaneamente liberati per il restauro dalla rilegatura, un centinaio di fogli del codice sono esposti ora a Parigi (dopo aver fatto tappa a Los Angeles e New York). È l'ultima occasione di poter vedere non il codice aperto a una pagina come accade nelle mostre, ma uno accanto all'altro tutti i suoi fogli miniati come fossero scene di un ciclo di affreschi suquadrenato sulle mura di una chiesa.
Un "libro d'ore" è una raccolta di preghiere a uso dei laici per tutte le ore del giorno, per le feste dell'anno, per implorare la Vergine, evocare la passione di Cristo, illustrare i salmi, onorare e pregare i santi, seguire l'uffizio dei morti e recitare le litanie. Durante gli ultimi secoli del Medioevo, quando – come è stato detto – «la pittura era nei libri», il libro d'ore fu il bestseller per eccellenza, richiesto da monarchi, aristocratici e ricchi borghesi a officine librarie e a celebri artisti. Le loro immagini potevano aiutare il fedele a immedesimarsi nelle vicende sacre ed essere al tempo stesso fonte di piacere per lo sguardo. Non era solo un libro di preghiere, era un simbolo di rango sociale, non a caso le pagine spesso erano marcate dagli stemmi o dalle imprese di chi li aveva ordinati.
Sulle pareti della Salle de la Chapelle del Louvre si susseguono le delicate e sfolgoranti immagini miniate dai fratelli Herman, Paul e Jean de Limbourg tra il 1405 e il 1408 per il duca Jean de Berry, figlio del re Carlo V e zio del re folle, Carlo VI. Il duca, il più grande bibliofilo e collezionista del suo tempo, aveva avuto al suo servizio artisti come André Beauneveu (il grande scultore cui aveva chiesto di illustrare un breviario), aveva commissionato probabilmente a Jean d'Orléans le Très Belles Heures de Notre-Dame, a Jacquemart de Hesdin le Grandes Heures e le Heures de Bruxelles. Quando nel 1404 morì suo fratello Filippo l'Ardito duca di Borgogna, il duca di Berry prese al suo servizio i giovani fratelli de Limbourg, che per Filippo avevano suntuosamente illustrato una «très belle et très notable Bible» affidando loro il compito di miniare le Belles Heures i cui fogli sono oggi in mostra. In rassegna i fogli miniati sono accompagnati da pochi oggetti di altissima qualità: sculture, avori, oreficerie, dipinti e altri codici miniati.
I Limbourg venivano da Nimega, in Olanda, erano nipoti di Jean Malouel pittore del Duca di Borgogna, forse il maggiore dell'Europa attorno al 1400, di cui il Louvre espone oggi, accanto alla celebre Grande Pietà, uno splendido Cristo in Pietà appena acquistato (si vede Dominique Thiébaut, Le Christ de pitié, éditions du Louvre, Paris 2012, pagg 64 € 9,70. Dallo zio avevano appreso molto: le delicate armonie dei colori, la gamma ineguagliabile dei rosa, degli azzurri, dei grigi, dei verdi, degli aranci e dei viola in tutte le gradazioni e le tonalità, l'eleganza preziosa del segno unita alla capacità nella resa plastica, l'eccezionale finezza nel dettaglio, ma i tre giovani seppero tenergli testa e andare più avanti. Nei quattro anni passati tra Parigi e Bourges decorarono le pagine delle Belles Heures con circa centocinquanta miniature. Osserviamole: la luce digradante – chiaro il primo piano, poi un crescente imbrunirsi verso il fondo – dei loro paesaggi teatri di martìri e di prodigi, popolati da pastori, cori angelici, soldati, pellegrini, monaci, re, eremiti, leoni e draghi, le città turrite evanescenti negli sfondi, l'aprirsi improvviso di una sala o di una loggia sottolineato dalla fuga delle piastrelle multicolori, della navata di una chiesa, di una scalinata che sfonda letteralmente una muraglia (nella Caduta di Simon mago), l'incresparsi ora tumultuoso ora placido delle onde intorno a una imbarcazione, l'oscurità innaturale solcata da sprazzi e meteore che avvolge la Crocifissione sono frutto di pennelli sapienti e ispirati, capaci di evocare la preziosità delle vesti e la macabra putrefazione dei cadaveri, i fondi di rabeschi dorati ma pure l'azzurro dei cieli per la prima volta percorsi da nuvole che ora si incupiscono ora si rischiarano.
La vita dei tre fratelli fu breve (una trentina d'anni o poco più) stroncata nel corso del 1416, l'anno che vide anche la morte del duca, loro protettore. Nei quindici anni avevano operato avevano fatto prodigi. L'ultimo, il più celebre libro da loro miniato, le Très Riches Heures, ora a Chantilly, rimase incompiuto. Negli anni che passarono tra la fine del 1408 – quando venne terminata l'illustrazione delle Belles Heures – e l'inizio di quella delle Très Riches Heures i tre fratelli (o forse il solo Paul) dovettero scendere in Italia per un viaggio di studio. L'ipotesi, un tempo data per certa, è ora molto discussa: si sottolinea come la ricchezza di opere italiane nelle raccolte del duca di Berry e la presenza di artisti italiani a Parigi potessero offrire loro modelli sufficientim senza mettersi in viaggio.

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