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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2012 alle ore 08:15.

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La cultura classica aveva stabilito una connessione intima tra gli uomini e le api. Perché le api sono, come gli umani, esseri altamente sociali, la cui vita è regolata da ruoli e regole precise. E anche da una forma di linguaggio. Questa è la grande conclusione cui arriva lo zoologo viennese e premio Nobel Karl von Frish nel 1945. Dopo anni di studio sulla percezione dei colori e degli odori da parte di questi insetti, presenta a un convegno internazionale a Zurigo la sua ipotesi, in realtà una constatazione comprovata da centinaia di esperimenti riusciti positivamente. La reazione della platea, nel 1945, fu di ilarità e quasi di sdegno. Nella mentalità scientifica del tempo, gli esseri invertebrati erano da considerarsi "inferiori" sotto ogni aspetto, per cui veniva ritenuto impossibile riconoscere a degli insetti una qualsiasi capacità cognitiva. Come scrive Giorgio Celli, «l'uso dei segni presuppone una capacità di "lettura" del reale di cui l'uomo si credeva o si arrogava di essere il solo depositario». Le cose non stavano proprio così, e infatti le conferme delle teorie di von Frish sul linguaggio delle api arrivarono, e così i riconoscimenti: finalmente, a ottantasette anni, egli fu convocato per il Nobel, che non poté ritirare per motivi di salute.
Frisch aveva creato delle mappature territoriali disponendo ciotole con acqua zuccherata – il "cibo", richiamo per le api – a differenti distanze dall'alveare che egli aveva fatto costruire in vetro, proprio per osservare il comportamento degli insetti all'interno. Normalmente un'ape viene inviata fuori a cercare del cibo e, quando questa lo trova, rientra nell'alveare e comunica alle api bottinatrici il luogo esatto – nonché la tipologia di nettare da cercare, di cui ha immagazzinato l'odore –, in cui il cibo si trova. Se la fonte di alimentazione è collocata in un luogo distante dall'alveare meno di 50 metri, allora l'ape esploratrice comunica questa informazione alle sue compagne raccoglitrici con una danza semplicemente circolare. Se la distanza della fonte del cibo è superiore ai 50 metri, e può rasentare anche i diversi chilometri, allora l'ape esploratrice compie un altro tipo di danza più complessa, a forma di due semicerchi uniti come in un 8. In questo caso, più lontano è il cibo, minore è il numero di giri effettuati in un minuto dall'ape annunciatrice. Ma l'ape può anche comunicare con precisione la direzione da prendere per arrivare al cibo, scuotendo la schiena durante la danza in una determinata direzione, che è ricavata dalla relazione della posizione del sole rispetto a quella dell'alveare. Un'impresa da Einstein per degli insetti.
In effetti, da sperimentazioni successive è emerso chiaramente come le api siano in grado di concepire cognitivamente la realtà: per esempio, sono in grado di gestire informazioni variegate sulle condizioni dell'ambiente in cui dovranno cercare il cibo, così da elaborare dei "piani" di ricerca e anche delle "soluzioni" alternative qualora il percorso già noto per giungere a destinazione fosse ostacolato.
La strada dello studio delle api aperta da von Frisch è stata percorsa da molti, e continua a essere assai battuta e densa di scoperte stupefacenti, come quella recentemente effettuata da Giorgio Vallortigara e Lesley J. Rogers. Gli esperimenti condotti dai due studiosi sulla percettività olfattiva dell'ape, hanno fatto emergere un'evidenza assai interessante: anche le api hanno un cervello "lateralizzato", soprattutto per ciò che riguarda le capacità della memoria. Nel cervello delle api, la parte destra sarebbe destinata all'immagazzinamento della memoria di breve durata delle informazioni percettive (i colori e gli odori dei fiori); la parte sinistra – quella che nell'uomo è comunemente detta "linguistica" – è destinata alla memoria a lungo termine, dove si depositano quelle informazioni preziosissime per le api relative all'odore e alla qualità del nettare dei fiori.
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