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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2012 alle ore 18:27.

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Una scena dal film Take ShelterUna scena dal film Take Shelter

A chi dice che l'estate è il buco nero della distribuzione cinematografica dovremmo ricordare che, al di là dei numeri impietosi (soprattutto quest'anno), c'è una qualità discreta nei film proposti oltre ad un blockbuster prossimo venturo (The Amazing Spider Man) che potrebbe invertire la tendenza.

Merita, di sicuro, la nostra prima menzione della settimana Marley: a dispetto dei grandi problemi dei film musicali in Italia- in particolare i documentari-biopic- Kevin McDonald riesce a "rimanere" in sala. Il film sul re del reggae Bob Marley, infatti, inizialmente doveva vivere un solo giorno di gloria, mercoledì 26. Ma ottimi incassi e una media sala ragguardevole lo fanno tornare in sala proprio questo venerdì.

Giustissimo, McDonald (già autore de La morte sospesa, L'ultimo re di Scozia e State of play) sa accarezzare l'icona non rinunciando a indagare sulla realtà dell'uomo, un po' come Scorsese con Harrison o Kusturica con Maradona. Con amore e curiosità, con lucidità e completezza. C'è anche il cinema italiano a fare capolino con l'esordio di Saverio Di Biagio, Qualche nuvola. Quella che appare, francamente, come una grande occasione persa. Melodramma giovanile sulla precarietà sentimentale e materiale della generazione dei trentenni, se la cava alla grande finché rimane in periferia (si è girato al Quadraro, a Roma). Merito soprattutto di un ottimo Michele Alhaique, di una grintosa Greta Scarano e delle loro spalle, Primo Reggiani (ormai più bravo che bello, e non è facile) e Veronica Corsi, che con la sua Barbarona ci mostra una Roma verace e divertente. Fuori da quel palazzo e da quel quartiere, però, il film si perde. Non convince la storia parallela con Aylin Prandi (forse era meglio mantenerla solo "desiderata", l'attrice sembra mostrare limiti simili a quelli che avevano condizionato la buona riuscita de Il paese delle spose infelici di Pippo Mezzapesa), né il disorientamento del ragazzo in un mondo non suo. Più il film va avanti più arranca nonostante la buona impostazione della sceneggiatura.

Scalda il cuore Il cammino di Santiago. Bel cortocircuito tra realtà e finzione a partire da quel Martin Sheen- sempre grande- che deve metabolizzare il lutto della morte di un figlio amatissimo ma tanto, troppo diverso da lui (a interpretarlo Emilio Estevez, regista del film e figlio di Martin anche fuori dal set). Il ragazzo muore nel primo giorno del cammino di Santiago, pellegrinaggio ormai famosissimo che fa attraversare la Spagna a migliaia di pellegrini, religiosi e laici. Per alcuni è sfida, per altri prova atletica, per molti esperienza mistica, per altrettanti terapia contro il dolore. Per Martin forse è tutto questo, è il capire da ricco imprenditore il figlio hippy e libero, è incontrare una canadese ferita dall'amore, un olandese troppo sorridente e ciarliero per essere felice, uno scrittore francese che forse da lui impara ad usare davvero le parole. Noi, pur in uno sviluppo della storia prevedibile e elementare (non era così anche per lo splendido Bobby, in fondo?), li seguiamo, li affianchiamo, tifiamo per loro. E usciti dalla sala si ha una gran voglia di infilare le scarpe da trekking e affrontare un'impresa umana che potrebbe cambiarci. Estevez dimostra d'essere uno dei sempre più rari registi di sentimenti, che sa parlare al cuore prima che alla testa.

Esattamente il contrario dello snob e lezioso L'amore dura tre anni. In Italia arriva mentre in Francia è già sugli scaffali dei dvd, ma l'attesa poteva tranquillamente prolungarsi: parliamo della solita commediola transalpina un po' misogina che aspetta solo la bellissima ed elegante protagonista per demolire le certezze dell'intellettuale borghese e maschilista di turno, di solito bruttarello fuori e dentro. Un'idea che varrebbe un corto di venti minuti, tre o quattro battute- a essere generosi- da portare a casa. Il cinema francese è in salute anche perché riesce a racimolare incassi con opere mediocri e traballanti grazie a un pubblico che dà fiducia- a volte troppa- ai suoi artisti.

Una gemma di questo fine settimana è, infine, Take Shelter. Film sorprendente con un Michael Shannon notevolissimo, sembra un Hitchcock riscritto da Hillcoat (e soprattutto Cormac McCarthy). Si gioca sulla paranoia da fine del mondo che ormai ci schiavizza, sull'ansia di protezione di un padre e sull'ossessione di un uomo che difende il suo mondo. C'è l'America ferita di quest'ultimo decennio negli occhi dolenti di Shannon, malato che sa di esserlo e che sa, forse, anche della sua ostinazione a curarsi con medicine sbagliate. Jeff Nichols sa dipingere un affresco familiare e metaforico notevolissimo, muove attori (che brava Jessica Chastain) e immagini con maestria, tira fuori un finale di assoluto spessore. Da non perdere.

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