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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2012 alle ore 08:17.

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Il dibattito sulla libertà umana ha una lunghissima storia. Il punto più controverso è se il genere di libero arbitrio necessario per giustificare la piena responsabilità morale di chi compie un'azione sia compatibile con il fatto che le nostre azioni sono causalmente determinate da fattori al di fuori del nostro controllo. La prospettiva scettica, proposta per primo da Spinoza nell'Etica, e con la quale io concordo, afferma che la libertà così descritta è incompatibile con il determinismo causale. Tuttavia, nella Critica della ragion pura, Kant sostiene che avremmo quella libertà se fossimo agenti causali non determinati, ovvero se noi agenti fossimo sostanze con il potere di produrre decisioni senza essere a nostra volta determinati a causarle. Il punto che io difendo è che la tesi kantiana non è una possibilità incoerente o da escludere, ma non risulta credibile alla luce delle attuali conoscenze della fisica. E non ci viene in aiuto nemmeno l'interpretazione indeterministica della meccanica quantistica. Dato che non pare credibile l'unico modo in cui sarebbe probabile che fossimo liberi nel senso classico, è probabile che non godiamo di quella libertà.
Risulta però cruciale comprendere che l'espressione "responsabilità morale" è utilizzata in diverse accezioni. Il tipo di controllo sulle nostre azioni necessario per alcuni di quei sensi è del tutto compatibile con il determinismo causale. Anche chi è scettico sul libero arbitrio può quindi affermare che in una certa accezione specifica siamo moralmente responsabili delle nostre azioni. Si tratta di una responsabilità morale diversa da quella implicata nel concetto di "puro merito". In base a esso, un agente è moralmente responsabile di un'azione quando l'azione sia "sua" in modo tale che chi l'ha compiuta possa essere oggetto di indignazione e di biasimo nel caso sapesse che era un'azione moralmente sbagliata, e di lode nel caso sapesse che era un'azione moralmente giusta. Il merito è "puro" nel senso che l'agente merita il biasimo o la lode "solo" perché ha compiuto l'azione, in considerazione del valore morale di essa. Rifiutare questo tipo di responsabilità morale (che viene a cadere dato che non ritengo che siamo liberi nel senso classico), lascia intatti altri aspetti della responsabilità. Ad esempio, quando ci imbattiamo in un comportamento all'apparenza immorale, riteniamo legittimo chiedere all'agente: «Perché ha deciso di fare questo?»; «Pensi che fosse la cosa giusta da compiere?». Se le ragioni che ci vengono date in risposta sono moralmente insoddisfacenti, reputiamo giustificato invitare quell'individuo a considerare in modo critico quello che le sue azioni rivelano delle sue intenzioni e del suo carattere, a chiedere scusa e a cambiare atteggiamento. Risulta ragionevole intraprendere una tale interazione alla luce del diritto di proteggersi dai comportamenti immorali e dalle loro conseguenze da parte di chi da essi è danneggiato o minacciato. La corrente principale nel dibattito sulla libertà umana non vede nel determinismo un ostacolo alla responsabilità morale così formulata, e anche gli scettici sul libero arbitrio possono concordare che in questo senso siamo moralmente responsabili.
Di conseguenza, per quanto riguarda i criminali, gli scettici sul libero arbitrio non pensano che essi non debbano essere ritenuti responsabili dei loro delitti, semplicemente ritengono che la giustificazione della pena non possa basarsi sul "puro merito". La concezione retributivistica della pena difesa da Kant nella Metafisica della morale sostiene che la punizione di un criminale è giustificata sulla base del fatto che egli la merita, e la merita perché ha consapevolmente compiuto un delitto: ciò fa diretto riferimento al senso di responsabilità morale visto in precedenza, che richiede la libertà umana. Ma esiste una giustificazione della prevenzione dei crimini che non è minata né dallo scetticismo sulla libertà umana né da altre considerazioni morali. Tale teoria sfrutta l'analogia tra il trattamento dei criminali minacciosi e il trattamento di coloro che sono portatori di pericolose malattie. Chi è infettato da tali patologie non è responsabile in alcun senso del pericolo che procura. Tuttavia, in genere pensiamo che qualche volta sia lecito mettere il malato in quarantena. Ma allora, anche se un criminale minaccioso non è responsabile dei propri delitti nel senso del "puro merito", potrebbe comunque essere lecito porlo in detenzione, così come si mette in quarantena il portatore di una malattia infettiva. Una teoria basata su quest'analogia richiede un grado di attenzione per la riabilitazione e il benessere del criminale che dovrebbe portare a modificare molte delle nostre attuali regole. E se il criminale non riesce a emendarsi e la nostra sicurezza richiede la sua incarcerazione a tempo indeterminato, la prospettiva scettica sulla libertà non dà giustificazioni per rendere la sua vita meno dignitosa di quanto necessario per proteggerci dalla minaccia che egli rappresenta.
Sulla mancanza di libertà per l'essere umano, nell'Etica Spinoza scrive: «Questa dottrina contribuisce alla vita sociale in quanto insegna a non odiare nessuno, a non avere disistima per nessuno, a non dileggiare nessuno, a non adirarsi con nessuno». Spesso giustifichiamo le nostre espressioni di indignazione e le pene che infliggiamo sostenendo che chi le riceve se lo merita proprio per ciò che ha fatto. Se però ci convinciamo di non avere quella libertà che è richiesta per la responsabilità morale nel senso classico, dovremmo considerare illegittima tale giustificazione. Spinoza era preoccupato delle conseguenze dannose prodotte dall'assunzione della libertà umana; nella sua plausibile prospettiva, se rifiutiamo quell'idea di libertà, nel complesso, ne avremo un vantaggio.

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