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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2012 alle ore 16:49.

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Farfalle d'autore, «labbra», gambe e nudi. Cronistoria per immagini delle mise editoriali ideate per un libro che esordì con fama di scandalo e che mezzo secolo dopo si vide catapultare nel Mito (quello vero).

«Io non penso in nessuna lingua; penso per immagini». Così parla, ai microfoni della Bbc, Vladimir Nabokov e non potrebbe tracciare miglior identikit al servizio della sua arte: è il 1962 – esattamente 50 anni fa – e da qui in poi gli spettatori di tutto il mondo penseranno Lolita nel medium che lui predilige. Senza contare che Nabokov ha una disciplina tutta particolare: «Non procedo in maniera consequenziale, non scrivo un capitolo dopo l'altro dall'inizio alla fine. Mi limito a riempire i vuoti del quadro». In fondo, è lo stesso obiettivo della pellicola diretta da Stanley Kubrick, meglio ancora, della sua campagna promozionale. Lì si trasforma la frase più taciuta, o bisbigliata, dai contemporanei («Come è stato mai possibile realizzarlo?») nello slogan-cappello di una minuziosa strategia degna delle migliori pubblicità multisoggetto, cosa che emerge con chiarezza sfogliando il pressbook inviato a tutte le sale cinematografiche. Il kit di lancio prevede spot radiofonici, trailer, dischi a 45 giri, strilli-stampa da selezionare e collocare con assolutissima cura perché, si legge tra le righe, la stampa locale è decisiva per «raggiungere gli obiettivi». Istruzioni prontamente declinate anche in Italia, ma con varianti rivelatrici: «Tra le signore che interverranno allo spettacolo delle ore 22», recita il flano di una prima, «saranno offerti omaggi di Celui di Jean Dessès, volumi Lolita editi da Arnoldo Mondadori e dischi Lolita Ja-Ja di Sue Lyon». I cadeau e il profumo dello stilista francese (il guru dello chiffon, quello della pubblicità «Se lei ama la griffe Jean Dessès, lei ha scelto due volte») nonché l'orario prescelto (le 22 dei gran gala) posizionano il "prodotto-Lolita" in fascia alta.

Vero è che non tutti vanno al cinema. Nei pensieri di questo pubblico si agitano forse le parole di Time, che paragona la chiacchieratissima ninfetta a «una testa di Medusa con serpenti di cartapesta». Allusione per allusione, va detto che è proprio la collana Mondadori dedicata alla gorgone mitologica ad aver salutato l'esordio editoriale di Lolita (libro) tre anni prima del film, qui in Italia. Lì però ci sono le ben note sovraccoperte seriali, con la stessa effigie di Medusa; dunque si nega ancora a Lolita (personaggio) un volto proprio. Tutto cambia quando Mondadori prepara una veste editoriale rinnovata per l'eroina di Nabokov: a lire 1.100, stavolta nella brossurata serie Il Bosco, finita di stampare nel dicembre 1963. Il testo esplicativo che accompagna il volume parla di deformazione, di natura deturpata, di decomposizione. Certo, Lolita è il libro «di cui tanto continua a occuparsi la stampa di tutto il mondo» ma è soprattutto «il romanzo della decadenza del costume contemporaneo», perché «ci mostra come il peccato non renda l'uomo libero». Infatti, per la collana curata da Enzo Pagliara (a lui riporta la filiale romana di Mondadori) il protagonista principale è ancora «Humbert Humbert che attraversa gli States in macchina, inseguendo la felicità». Lolita quasi non c'è. Ed è una presenza ambigua anche su tutte le quarte di copertina dell'era Mondadori: decennio dopo decennio, Lolita «rappresenta l'alienazione di tutta una società» (1963), Lolita è quella «ragazzina ingenua e nello stesso tempo volgare e corrotta» che sfumerà in fin di romanzo «ormai diciassettenne e prossima madre» (1966) e, beninteso, tutto questo non le impedisce di possedere «tutte le qualità che un "vero romanzo" deve avere» (1970, identica alla 1980).

Ma la pruderie? Forse è all'estero (vedi box), non certo in Italia. Va detto che è merce rara anche sulle copertine vere e proprie. Nell'edizione 1963, per l'art direction di Bruno Binosi e una mano che ricorda Paulus Scharff, Lolita somiglia a un'acerba teenager orfana di leccalecca. In quella del 1966 è certamente Sue Lyon, nell'interpretazione di Mario Tempesti però sbircia innocua il lettore e pare un filo distratta. Assai poco provocante è poi il paio di gambe sbarazzine, ma non volgari, inventate sempre da Binosi nel 1970.

Il vero cambio di guardaroba editoriale, per Lolita, arriva dieci anni dopo. Anche qui, però, col vestito meno scontato: Mondadori sceglie sì un maestro del l'eros come Balthus, che proprio nel 1980 espone alla Biennale di Venezia, ma il suo Le lever è tutt'al più virginale; non peccaminoso quanto la ragazza con felino riproposta nel 1995 dai Penguin Modern Classics (ed è sempre Balthus: cover di cover?). I tempi stanno cambiando: per i voyeur c'è Emmanuelle, per Lolita ben altre nudità. Galeotto nell'ennesimo cambio d'abito è forse Pietro Citati: porta ancora la sua firma l'ultima quarta di copertina approntata a Segrate e parla ancora di Humbert Humbert, adesso più come «simbolo», però, come «summa», come surrogato della «cultura occidentale». E Lolita? Più che una «divoratrice di gelati alla crema, una consumatrice di fumetti spaziali», lei ormai incarna la «grazia femminile» che regala «incanti miracolosi». È quasi un trailer dell'ultima svolta, che arriva nel 1993 con l'ingresso del titolo nel catalogo Adelphi.

Dalla sartoria di Roberto Calasso, la creatura nabokoviana esce nuda ma riceve in dono il suo orizzonte più vasto: «L'America» è «Lolita, Lolita» è «l'America», sentenzia la nuova aletta della copertina, da dove è esiliato il troppo moderno Balthus in favore del più chiaroscurale e polisemico Jean Jacques Henner. La metamorfosi definitiva è sancita sempre dall'aletta che trasforma (autentica mutazione ovidiana) la «ninfetta» anni Sessanta nell'apparizione moderna «della Ninfa, uno di quegli esseri quasi immortali che furono i primi ad attirare il desiderio degli Olimpi verso la terra e a invadere la loro mente con la possessione erotica». La chiusura del cerchio arriva nello stralcio che Adelphi sceglie per orlare la quarta della riedizione tascabile: è del 1996 ed è sempre Pietro Citati, stavolta però confessa di aver riletto Lolita «dopo trentasei anni» e di non essersi finora accorto «che possedesse una così straordinaria suggestione mitica». Ecco a voi Lolita: l'America, il Mito, l'immortale Epopea.

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