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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2012 alle ore 08:18.

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Un'estate di mezzo secolo fa, Dino Risi girava tra Roma e il litorale tirrenico Il sorpasso. Le prime riprese, che mostrano l'Urbe deserta, sono fatte a Ferragosto. Le ultime, a settembre inoltrato, sono a Castiglioncello. Il Comune toscano renderà omaggio al film nelle prossime settimane con varie iniziative, mentre in questi giorni la casa editrice Falsopiano manda in libreria una nuova edizione di un libro curato vent'anni fa da Oreste De Fornari, Il sorpasso 1962-2012. I filobus sono pieni di gente onesta, che contiene tra l'altro il soggetto e la sceneggiatura, scritta da Risi insieme a Ettore Scola e Ruggero Maccari.
Quella del film sarebbe diventata l'immagine dell'estate italiana per eccellenza: una nazione in vacanza, città deserte, famiglie in macchina verso il mare, spiagge affollate. Nelle prime scene Vittorio Gassman/Bruno Cortona, aria da vincente alla guida di una fiammante Lancia Aurelia, preleva a casa il mite studente Roberto Mariani (Jean-Louis Trintignant) e lo porta per un viaggio che inizia per caso, e poi si allunga e si complica, fino al tragico epilogo. I destini di Bruno e Roberto si compiono sulla via Aurelia, tra il Lazio e la Toscana, fino alla curva mortale di Calafuria. La spiaggia e l'automobile saranno due "luoghi comuni" del cinema dell'epoca, accompagnate da una novità musicale, le «canzoni per l'estate» (la prima di tutte, Legata a un granello di sabbia di Nico Fidenco). Il sorpasso ne fa un grande uso in colonna sonora. Nascono le vacanze, e nascono i giovani, come qualcosa di distinto dalle altre generazioni per gusti, consumi, identità: è quella che una sociologa ha chiamato «la prima generazione».
Il film definisce perfettamente la commedia all'italiana. Vi troviamo gli elementi base del filone: l'identificazione/ripugnanza verso i personaggi; il predominio della scrittura sui numeri comici e sulla regia; l'attenzione al pubblico e al sociale, più che al privato e ai sentimenti; il realismo di fondo; l'intreccio di comico e drammatico, che può arrivare (come in questo caso) a un finale decisamente tragico. Il mito dei «favolosi anni Sessanta» dura da almeno quarant'anni, nutrito dapprima da chi li aveva conosciuti, poi galleggiante in un mondo di pure icone, stereotipi, immagini ricorrenti. Un intero decennio, gli Ottanta, ne fece il suo modello, credendo di essere una sua reincarnazione. Come in molti film dell'epoca, però, la visione dell'Italia che emerge dal film di Risi è amarissima. L'Italia, nello sguardo dei nostri autori di commedie, è già destinata a diventare un «paese mancato». Dietro la maschera da vincenti di una nazione il cui Pil galoppava, a sceneggiatori e registi apparivano una miseria morale, una corruzione intima, che li attraevano, li respingevano e li addoloravano sinceramente. La forza di quei film è di fotografare insieme l'euforia e la patologia dell'Italia, la sua straordinaria vitalità e i germi del suo sfascio. È, quello di Risi, un film che fotografa il presente attraverso personaggi ma soprattutto lampi, immagini: il "villico" che fuma il sigaro, il suono bitonale del clacson, il twist ballato sull'aia, l'adolescente Catherine Spaak con il vestitino a righe, la sonnolenta casa di campagna degli zii. Un'Italia sospesa tra passato e presente, appena motorizzata, e che dunque da pochissimo aveva scoperto le vacanze di massa. Oggi, le immagini dell'estate del '62 filmate da Risi mostrano una grande disponibilità a farsi impregnare, sono soprattutto imbevute dall'aria del tempo, documento in senso profondo: Il sorpasso è anche uno dei primi road movie, un film scritto magistralmente che però in ogni istante si lascia distrarre dai dettagli significativi. Le nostre estati venture sono già tutte lì, in quei dettagli fotografati come per caso, nel bene e soprattutto nel male.
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