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Questo articolo è stato pubblicato il 09 luglio 2012 alle ore 15:48.

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Certamente la ruota ci sarebbe stata anche senza un laboratorio di ricerca, ma la conquista della Luna, o per restare con i piedi per terra, la diffusione della banda larga ci sarebbero state senza un forte investimento in ricerca?

La spesa per l'istruzione troppo spesso s'identifica solo con la spesa per la scuola dell'obbligo, arrivando fino al liceo, ma attenzione: la spesa dell'istruzione copre tanto altro terreno fertile sul quale si esercitano le menti e i talenti dei nostri giovani: le Università, i laboratori, tutti quei centri di ricerca che, come ha ricordato il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, sono il motore per lo sviluppo del Paese.

Verum et iustum est, l'ignoranza non paga e solo la conoscenza, come diceva don Lorenzo Milani, ci può rendere uomini liberi. Ma c'è un'altra ragione, oltre a quella, importantissima, della libertà di giudizio, per favorire la spesa per l'istruzione, ed è una ragione squisitamente economica: la cultura paga in termini di sviluppo del Paese. Paga la cultura scientifica, l'innovazione, la tecnologia: la qualità dei nostri manufatti dipende dallo studio che c'è a monte. L'innovazione del processo aziendale è legata alla ricerca di laboratorio. Ma paga anche la cultura umanistica, cruciale in un Paese dove si concentra la maggior parte dei siti "patrimonio dell'umanità". Ed è anche importante favorire la trasmissione di quel "saper fare" che in Italia ha tante storiche punte di diamante, creando corsi di arti e mestieri.

Il rapporto tra spesa per l'istruzione e spesa totale, secondo lo studio pubblicato dall'Ocse nel settembre del 2011 (vedi tabella a lato) vede l'Italia all'ultimo posto sui Paesi esaminati. Ma non dobbiamo pensare che questo fatto esaurisca il problema e releghi l'Italia a cenerentola dell'istruzione. Come sempre le statistiche, i numeri (vedi Sole Junior del 20 maggio) devono essere interpretati per distillare la verità. È vero, la nostra spesa per l'istruzione non è alta, e questo penalizza lo sviluppo delle migliori risorse giovanili, ma non possiamo trascurare alcune eccellenze del nostro sistema scolastico: i finalisti e i vincitori delle Olimpiadi di matematica e d'informatica, così come del Certamen Oraziano, dimostrano la buona preparazione dei nostri studenti.

Questo ci può consolare, ma non toglie nulla al fatto che l'Italia investe poco nel capitale umano, a cominciare dalla scuola dell'infanzia. Il primo mattoncino nella costruzione della cultura scolastica comincia nelle aule degli asili e qui l'Italia pecca di una smisurata disattenzione al problema. Sono ancora troppo pochi i bambini che possono frequentare un asilo pubblico: la percentuale va dal 28% della regione Emilia Romagna al 6% della Calabria. Le conseguenze sono di due ordini: prima di tutto un'occasione persa per lo sviluppo intellettuale del bambino che riceve dalla scuola una serie di stimoli mirati; ma non meno importante il difficile percorso dell'occupazione femminile, frenata dalla carenza di asili pubblici.

Una revisione della spesa pubblica dovrebbe quindi concentrare l'attenzione su due apici della carriera scolastica: scuola dell'infanzia e università. In ambedue casi, sarà una combinazione, l'Italia spende meno dell'1% del Pil, un po' poco per il nostro sviluppo futuro.

denpasar@tin.it

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