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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2012 alle ore 08:18.

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Il titolo è «Fuori dal Set» ma dovrebbe essere «Fuori dal Coro». È la grande mostra dedicata dal Museo nazionale del cinema di Torino a Chiara Samugheo, la fotografa italiana di maggior talento, energia, storia e personalità.
Bellissima ragazza di ottima famiglia borghese lascia casa dicendo «vado dagli zii a Varese...». È l'incipit di una vita di cui lei soltanto sarà l'originale regista. Anni Cinquanta, Milano-Roma, anni in cui per merito di Federico Patellani la fotografia guarda a un panorama internazionale, Laszlo Moholy-Nagy, Cartier Bresson e progetta una nuova vitale integrazione con la grafica ispirandosi a «Life», «Paris-Match», a «Il Politecnico» di Vittorini. È l'ora di «Cinema Nuovo», creatura di Guido Aristarco e «Le Ore» di Salvatore Cappelli progettato da Pasquale Prunas. l'uomo che diventerà guida e compagno di Chiara Samugheo.
A fianco di Federico Patellani prende così corpo l'avventura fotografica della Samugheo, con un inizio dedicato alle immagini del sociale. Il Mussolini di servizio realizzato a Predappio con la famiglia Mussolini o nel 1954 a Galatina per Le invasate ovvero le Tarantolate, pubblicate nel 1955 con un testo di Emilio Tadini. E poi I bambini di Napoli con Domenico Rea o Le due Napoli con Michele Prisco.
La Samugheo affronta questi temi aspri con energia e mai con sufficienza, senza falsi pietismi o voyeurismo interessato. Bene racconta Paolo Barbaro tutta la vicenda creativa della Samugheo nel ricco catalogo di Silvana Editoriale, ricordando che Aristarco e Prunas progettano nel 1955 un servizio sul Festival del Cinema di Venezia ed è lì che Chiara Samugheo inizierà a fotografare gli attori, i divi. Nasce allora quella sua personalissima poetica, quell'atteggiamento che le sarà proprio per sempre.
Lontana dall'aggressività dei paparazzi, non ama la foto rubata, scandalistica e al tempo stesso è lontana dalla fotografia lungamente posata negli studi alla maniera dei grandi fotografi dei divi, i Di Giovanni gli Invernizzi, i Portalupi.
Chiara Samugheo propone un sorta di terza soluzione, quella di una fotografia che riporta il soggetto a un clima più intimo e personale lontano dagli atteggiamenti assoluti di pose e di luci, d'immortalità e di sorrisi calcolati. I suoi personaggi vivono nelle immagini e ci aprono – in qualche modo – la strada a una comprensione più vera, diretta. Nel 1962 Alfred Hitchcock è a Roma e Chiara fa tutt'uno con la sua ironia coinvolgente. Una sequenza, quasi un film in cui il regista lava i pavimenti, sbadiglia, gioca, si lascia coinvolgere.
Davanti a quell'obbiettivo, con quel taglio sempre amichevolmente giocato passano i grandi da Jean Renoir e Rossellini, da Lattuada a Scorsese, Rosi, De Sica, Pontecorvo, Fellini e Charlie Chaplin in un elenco infinito che è davvero lo scrigno prezioso della golden age del cinema mondiale.
Dice Barbaro: «Si è scritto che il suo fotografare si colloca nel passaggio dallo Star-System, sistema di icone inavvicinabili e mitiche a un Personality System». Questa è davvero la rivoluzione copernicana che la Samugheo mette in atto con la precisa coscienza di compiere un gesto nuovo, il tassello chiave che mancava al ritratto delle star.
La mostra è composta di oltre 150 immagini di grande formato apparse sulle copertine delle principali riviste internazionali da «Vogue» a «Life», da «Epoca» a «Stern», da «Paris-Match» a «Vanity Fair». Prima grande mostra di una donna che è senz'ombra di dubbio uno degli autori più importanti e significativi del dopoguerra. L'avvincente e avvolgente percorso nella superba rampa della Mole Antonelliana ci guida in un viaggio di volti e corpi desiderabili e sognati, Elizabeth Taylor, Claudia Cardinale, Sophia Loren, Jane Fonda, Silvana Mangano, Kim Novak, Ingrid Thulin, Sandra Milo, Florinda Bolkan, Carrol Baker, Jayne Mansfield in una teoria della bellezza senza fine che ci ricordano anche la bellezza straordinaria della fotografia dietro l'obbiettivo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Fuori dal set. Fotografie di Chiara Samugheo per il cinema, Museo del Cinema di Torino; fino al 23 settembre

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