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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2012 alle ore 08:17.

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La seconda metà degli anni Settanta fu la stagione del rinnovamento del Partito socialista che fino ad allora aveva veleggiato tra il complesso di inferiorità verso il Pci e le pratiche di potere con la Dc. La storica rivista «Mondoperaio» divenne proprio allora il cuore di quella rinascita politica ed intellettuale che nel 1976 incontrò l'elezione dell'autonomista Bettino Craxi alla segreteria del partito: una rinascita che accese le speranze di quanti ritenevano necessaria in Italia una terza via socialista, democratica e liberale in grado di spezzare l'egemonia Dc-Pci. Toccò a Federico Coen dirigere la rivista che dal 1973 pilotò con maestria verso l'orizzonte del migliore socialismo europeo con il contributo di molti bei nomi dell'intellighenzia riformatrice italiana. Norberto Bobbio pubblicò il saggio Esiste una dottrina marxista dello Stato? che entrava in collisione con la tradizione comunista, Luciano Cafagna sviluppò finissime analisi dei rapporti a sinistra, Giuliano Amato lanciò la grande riforma costituzionale, Federico Mancini e Gino Giugni affrontarono i temi del lavoro, Luciano Pellicani riscoprì i pensatori socialisti antimarxisti, Giorgio Ruffolo e Francesco Forte argomentarono sui temi economici, e molti altri tra cui Vittorio Strada, Lucio Colletti, Stefano Rodotà ed Ernesto Galli della Loggia contribuirono allo svecchiamento del pensiero socialista liberale.
Facevano per lo più parte del gruppo dei cosiddetti "giolittiani" di cui Coen fu autentica espressione capace di riguadagnare alla vecchia rivista una rinnovata moralità pubblica e un'attenzione alla dimensione internazionale della libertà per i popoli oppressi. Quando nel 1983 Craxi andò al governo stringendo l'alleanza con Andreotti e Forlani, il riformista di sinistra Coen ruppe con l'uomo che aveva innovato il Psi e lasciò il partito e la rivista di cui più tardi scrisse una bella memoria con Le cassandre di Mondoperaio. Qualche anno dopo, nell'intento di proseguire nella tradizione del suo lavoro editoriale, accettò di dirigere la rivista «Thema» promossa dalla Cgil di Luciano Lama e Ottaviano Del Turco che ebbe vita breve. Fondò più tardi, insieme al dissidente cecoslovacco Antonin J. Liehm, l'edizione italiana di «Lettera internazionale» che diresse fino al 2009, una prestigiosa rivista europea su cui abbiamo letto i migliori contributi esteri degli anni Duemila. Fino alla scomparsa di qualche giorno fa, Federico ha conservato l'antico spirito laico di cui era così geloso da essere prescelto come lucido interprete della memoria di Giordano Bruno ed Ernesto Nathan. Ora, a 83 anni, se n'è andato in punta di piedi consegnando agli amici e compagni un messaggio di civiltà: non permettete una legge sul testamento biologico che espropri l'individuo della dignità di essere proprietario della sua vita sempre.
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