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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2012 alle ore 10:39.

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Sono trascorsi quasi settant'anni da quel 25 luglio 1943, quando «in una Roma stremata dallo scirocco e dalla guerra, il Gran Consiglio del fascismo abbatte Mussolini e il re, senza pudore, ne rimuove il cadavere ingombrante. I gerarchi, nell'emergenza, ritrovano capacità di decisione e autonomia politica». Marco Innocenti, giornalista e scrittore, per oltre vent'anni responsabile del settore esteri al quotidiano «Il Sole 24 Ore», cultore appassionato di storia del Novecento (non solo quella dei grandi eventi, ma anche della vita quotidiana e del costume), ha pubblicato con Mursia numerosi titoli sull'Italia del ventennio fascista e del dopoguerra. Nel suo ultimo libro presenta una carrellata di ritratti dei gerarchi di Mussolini: da Ciano a Grandi, da Balbo a Bottai, da Starace a Pavolini, poi altri due capitoli dedicati ai "gregari" e ai "dimenticati".

Nelle vicende di questi uomini c'è un pezzo di storia del ventennio. Ognuno di loro incarna una diversa anima del fascismo e un diverso modo di rapportarsi con Mussolini. Ciano, il delfino, che ha sposato sua figlia Edda, rappresenta il fascismo mondano e l'azzardo in politica estera; Balbo, l'audacia e il vivere pericolosamente; Grandi, la professionalità diplomatica, i legami con la monarchia e con l'Inghilterra; Bottai, la coscienza critica dell'intellettuale; Starace, l'Italia in camicia nera, il fascismo deteriore e buffonesco; Farinacci, amico fedele dei tedeschi, il lato anarcoide e manicheo; Pavolini, l'anima più cupamente violenta del regime.

I gerarchi erano poco amati dagli italiani, ma anche dal duce, privi di un reale potere sul Paese fino al 25 luglio 1943 quando saranno loro, gli eterni secondi, raccolti attorno a Dino Grandi, a prendere in mano il gioco. Ma solo per poco: Mussolini è giunto al capolinea e loro con lui. Sperano di far uscire l'Italia dalla guerra, ma non ci riusciranno. La radio annuncia che «il re ha accolto le dimissioni del cavaliere Benito Mussolini e ha nominato capo del Governo il maresciallo Pietro Badoglio». Ai congiurati del Gran Consiglio, scrive Marco Innocenti, «non restano neppure gli spiccioli. Hanno ucciso il regime con il metodo più democratico: il voto. Hanno bucato il pallone del fascismo, ma non possiedono il carisma, la forza e la fortuna per andare al di là di un ruolo di rottura».

Il regime crolla di schianto. Pochi tra i gerarchi, «come topi dopo un naufragio» ricompariranno a Salò. Fra gli altri «chi può, come Grandi, emigra, chi riesce, come Bottai, si nasconde, chi non ha fortuna finisce nelle mani di Badoglio o, peggio, dei tedeschi. Per Ciano e De Bono ci sarà una scarica nella schiena». Mussolini «arrestato come un evaso, morirà in un freddo aprile senza primavera sullo sfondo di un lago gonfio di pioggia».

A distanza di tanti anni, Marco Innocenti sugli uomini del duce esprime un giudizio non proprio negativo, perché «non ci fu solo un volo di tacchini», anche se a Palazzo Venezia comandava uno solo. I gerarchi, per l'autore del libro, «rappresentarono una classe politica provinciale ma solida, non cattiva, professionale, con alcuni talenti, non del tutto immacolata ma non eccessivamente ladra, sicuramente più affidabile dell'attuale. E oggi sono proprio questi gli uomini cui devono rivolgersi gli studi sul fascismo dopo l'inevitabile frenesia attorno a Mussolini».

Marco Innocenti
«Lui e loro – Mussolini e i suoi gerarchi»
Mursia, Milano 2012, pagg. 321, € 17,00.

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