Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 19 luglio 2012 alle ore 19:13.

My24

Dio ci scampi sempre dalle operazioni nostalgia, le reunion celebrative di anniversari, le session con reduci settuagenari in cui i fogli degli spartiti si mischiano a quelli di check up cardiaci e ricette mediche. Operazioni del genere fanno soltanto male. Alla musica, alla grandezza di chi davvero è stato grande, alla passione di chi ancora oggi ne ascolta il materiale degli anni d'oro.

Per fortuna il ritorno dei Beach Boys sembra sottrarsi a tutto questo armamentario impolverato che piace solo alle major discografiche. Miracolosamente: la band di Hawthorne California (o forse, dovremmo dire, ciò che ne resta) si è rimessa a suonare insieme per celebrare il proprio cinquantennale, coinciso con la notte di San Silvestro 2011. E ci ha preso così gusto che ne sono nati un progetto discografico e un tour mondiale che il prossimo 26 luglio li porterà a Roma e il giorno successivo a Milano. Circostanze per le quali può valere il concetto di recarsi a timbrare il cartellino con la storia.

E Dio creò la radio. Partiamo dal nuovo album, uscito da poche settimane per la Emi. Ha un titolo meraviglioso che sembra rievocare l'immaginario mid-Sixties di Brian Wilson e soci: «That's why God made the Radio». Arriva a 20 anni esatti dall'ultima prova discografica recante il loro logo («Summer in Paradise» del ‘92) ma – ahinoi - giusto quello perché, come prodotto, appariva piuttosto spento. La nuova fatica suona decisamente meglio e per un motivo molto semplice: la band deve aver occultato documenti d'identita, bruciato calendari e gettato via orologi. «That's why God made the Radio» ha lo stesso sound dei loro dischi della seconda metà degli anni Sessanta, «Pet Sounds» in primis e pure le session dell'incompiuto «Smile» tirate fuori dagli archivi un anno fa. Per fortuna nostra si tratta di un'opera depurata dagli insopportabili manierismi electro-friendly degli anni Ottanta.

Line up inedita. Raccogliendo la sfida della (ennesima) reunion, hanno dovuto fare i conti con le inesorabili carognate del tempo. Più che aggregare chi voleva, hanno dovuto arruolare chi c'era: tra i membri fondatori quel geniaccio di Brian Wilson, a quanto pare ancora affetto da disturbi inter-relazionali, suo cugino il lead vocalist Mike Love, il primo chitarrista Al Jardine, David Marks che lo rimpiazzò nel '62 e Bruce Johnston che si aggregò alla comitiva canoro-balneare tre anni più tardi. Così è quando gli infortuni ti costringono a mettere in campo gli unici elementi disponibili. Mancano soprattutto Dennis e Carl, i fratelli di Brian scomparsi negli anni Ottanta e Novanta. Bello è comunque vedere che la squadra in campo funziona.

Armonie marchio di fabbrica. Nell'intro «Think about the days» sfodera tutta la potenza delle armonie vocali che furono, appena accompagnate da Wilson al pianoforte. La title-track è un pezzo che sembra staccarsi dal firmamento musicale Sixties e precipitare sulla terra del Ventunesimo secolo. «Isn't it Time», con le voci a cappella che si alternano sulla tonica e la dominante, ricorda a un certo Eddie Vedder chi ha sdoganato per primo l'ukulele nel rock and roll. Un organo hammond gentile fa da contrappunto alla melodia in «Spring Vacation» che poi esplode nel ritornello autocelebrativo: «Spring vacation/ Good Vibrations/ Summer weather/ we're back together». La seconda parte del disco rallenta, lasciando spazio a ballad più meditabonde («10 from there to back again» e «Pacific Coast Highway») comunque caratterizzate da melodie interessanti.

Prova del fuoco live. Secondo qualcuno, la prima cosa che un cantante perde con l'età è la voce. Wilson e soci hanno bello che passato i 70, ma ad ascoltarli sembrano gli stessi di «Caroline no». Il disco rappresenta insomma una bella prova, riuscita. E offre un motivo valido in più a chi ha intenzione di andare ad ascoltarli dal vivo nelle due prossime puntate italiane. Sapranno rendere in versione live arrangiamenti vocali così complessi e avvolgenti? Le date di Roma e Milano saranno una prova del fuoco molto stimolante per chi qui da noi li ha sempre amati. Capiremo davvero come i ragazzi se la passano. E magari ci scappa di scoprire perché Dio creò la radio. E quella «Neverending Summer» che dal 1961 non ci abbandona più.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi