Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2012 alle ore 21:14.

My24
Wayne Shorter (Olycom)Wayne Shorter (Olycom)

Nel giugno scorso, presentando Umbria Jazz 2012 ora felicemente conclusa, ho dichiarato e scritto alcune cose che posso così riassumere a memoria. Ho parlato fra l'altro di Sting che ritornava a Perugia dopo 25 anni. cioè dopo l'11 luglio 1987 quando aveva dato vita, insieme con l'orchestra di Gil Evans, a un concerto memorabile che era stato definito «la notte dei miracoli». Ho detto che l'attuale fase di crisi generale non favorisce di certo i festival del jazz dei quali l'Italia – specie d'estate – abbonda anche troppo. Ma Umbria Jazz 2012, se avesse realizzato in pieno il programma annunciato, avrebbe compiuto un altro miracolo, questa volta per dieci giorni e dieci notti di seguito. Ecco, lo ha fatto.

Dato lo spessore del cartellone, è impossibile avere pretese di completezza perfino dopo il mio primo articolo dedicato alla fase iniziale del festival e il secondo riservato al «caso» Sonny Rollins. Si proceda dunque con un setaccio vigoroso, questa volta suddiviso in tre settori: i concerti stupendi, i buoni e le mezze delusioni, lasciando inevitabilmente fuori anche musicisti meritevoli quanto meno di una citazione. Hanno continuato a mietere applausi i trenta ragazzi americani diretti da Ryan Truesdell, invitati per riproporre brani di Gil Evans editi, inediti o sottratti all'oblio dei soliti scaffali polverosi. Dopo aver ospitato Francesco Cafiso, l'orchestrone ha avuto con sé Stefano Di Battista, Fabrizio Bosso e Paolo Fresu, e ha toccato il vertice nella sesta e ultima esibizione con una indimenticabile esecuzione del Concierto de Aranjuez di Joaquin Rodrigo. Va ricordato comunque che nei concerti di questi ragazzi l'improvvisazione creativa è limitata agli assoli: il loro lavoro è infatti un'interpretazione nel senso classico del termine, che nel jazz è ormai sempre più utile.

Grandi applausi ha meritato, due volte al giorno, l'intramontabile pianista Renato Sellani con Massimo Moriconi al contrabbasso, che nel clima raccolto e pensoso della Bottega del Vino ha intrattenuto gli appassionati dei brani standard con versioni sempre diverse e imprevedibili. Fra i concerti allestiti presso il Teatro Morlacchi, il maggiore di Perugia, la palma spetta di diritto al magnifico quartetto del sassofonista Wayne Shorter, a suo tempo compagno di Herbie Hancock (ahimè quanto diverso) nel quintetto pre-elettrico di Miles Davis degli anni sessanta: la musica di Shorter è vigorosa, trascinante e senza un attimo di stasi. Ma si ricordi anche la Lydian Sound Orchestra diretta da Riccardo Brazzale impegnata in un intenso programma di musiche di Thelonious Monk con l'originale supporto della voce recitante di Franco Costantini (testi di Geoff Dyer e di Laurent De Wilde). A Monk si è dedicata pure la Perugia Jazz Orchestra diretta da Mario Raja con la partecipazione – chi si rivede – dell'ottimo pianista Riccardo Zegna.

Qualche discussione ha sollevato nientemeno che Pat Metheny, di solito molto apprezzato in Italia, che all'Arena Santa Giuliana si è esibito col suo nuovo e pregevole quartetto Unity del quale fanno parte un formidabile Chris Potter alle ance, Ben Williams contrabbasso, Antonio Sanchez batteria. Ha offerto dal vivo la musica del suo recente cd omonimo, anch'esso pregevole. Buona musica si è ascoltata dai due sempreverdi John Scofield e Al Jarreau, mentre segni di stanchezza si sono notati nel quintetto di Joe Lovano con Dave Douglas e nella Radio Music Society della contrabbassista e cantante Esperanza Spalding. Si possono incolpare i massacranti tour estivi, ma non sembra infondata la battuta per la quale, di questo passo, c'è poca Esperanza.

Ha fatto bene Enrico Rava a proporre con l'Orchestra del Parco della Musica di Roma un tributo a un ammirevole esponente della musica del Novecento come Michael Jackson, che i jazzofili conoscono poco per loro massima colpa. Ha lasciato negli spettatori il desiderio di riascoltare i bellissimi brani dal vivo, ma intanto c'è il cd della Ecm fresco di stampa. C'è stato interesse per il reggae della famiglia Marley (un film al Teatro Pavone e una lunga serata di melodie e di ritmi quasi sempre dolci all'Arena). Il nobile pianoforte senza accompagnamento rimane sempre un po' ostico al mondo del jazz (inutile negarlo) anche quando sul palcoscenico ci siano quattro maestri del livello di Kenny Barron, Mulgrew Miller, Eric Reed e Benny Green (teatro Morlacchi, ancora per Thelonious Monk). Bel concerto, del quale Barron si è assunto l'opportuno comando delle operazioni con pieno merito.

Ecco Sting, infine, osannato all'Arena da 4.500 spettatori e da 2mila ragazzi che hanno fatto da cornice a viva forza. Qui il parere è assolutamente personale. L'ex cantante e chitarrista dei Police, amato agli esordi dalla mia generazione, è perfino migliore da quando, tanto tempo fa (prima dei concerti con Gil Evans al cui ricordo ha dedicato la performance perugina) si è messo in proprio. A sessant'anni conserva una stupenda voce forte e metallica, una chiara dizione grazie al cielo britannica e non americana. Però non riesco a perdonargli certi terrific sounds che sollecitano i corpi dei giovani a farsi possedere dai ritmi come ranocchie galvaniche. Sono soprattutto inutili, tanto è vero che i brani più sinceramente applauditi (anche dai ragazzi) sono state due tenere canzoni dedicate al suo Paese e al suo cuore, e Message in the Bottle, Consider Me Gone e Little Wing che risalgono agli anni ottanta. Vale a dire: qui la verità è venuta a galla.

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi