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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2012 alle ore 08:18.

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«Santità, siamo pronti!». Papa Gregorio XVI e la sua corte sono immobili e irrigiditi davanti a uno strano oggetto: una grossa scatola di legno con un soffietto, montata sopra un trespolo e coperta da una stoffa scura. È il 1845. I Palazzi Apostolici stanno per vivere una giornata memorabile: l'abate Vittorio della Rovere si appresta a scattare la prima fotografia della storia a un pontefice. Appena inventata, questa «diavoleria moderna» ha trovato in Vaticano adepti entusiasti e competenti, e paradossalmente il primo papa a venir fotografato (Gregorio XVI Cappellari) è uno dei più restii a benedire invenzioni e innovazioni. In realtà, le sacre mura vaticane erano state testimoni delle fasi addirittura più antiche e sperimentali dell'invenzione della fotografia. Si sa, ad esempio, che nel 1822 Joseph Nicéphore Niepce tentò di imprimere le sembianze di Pio VII Chiaramonti su una lastra di vetro. Non ci riuscì ma la strada della modernità aveva comunque tentato di fare tappa in Vaticano.
Il boom della fotografia si ebbe con il pontificato di Pio IX. A partire dal 1860, papa Mastai Ferretti promosse con vigore l'arte della fotografia sponsorizzando numerose campagne fotografiche e accettando volentieri gli album fotografici che fedeli e ammiratori gli inviavano in dono da tutto il mondo.
L'amore per la fotografia di Pio IX si trasformò in autentico entusiasmo con Leone XIII. Tanto per cominciare, papa Pecci commissionò nel 1883 al pittore Domenico Torti un bell'affresco per la Galleria dei Candelabri in Vaticano dove volle fosse raffigurata l'Allegoria della Scienza della Fotografia nelle sembianze di una donna vestita di giallo, seduta tra le nuvole, con lo sguardo rivolto al cielo, assistita da un forzuto angioletto sostenente (piuttosto a fatica) una grossa macchina fotografica. Leone XIII fu anche il primo papa a inserire la parola «fotografia» in un'enciclica. Ma questo è nulla: in preda all'entusiasmo e all'ispirazione, il Pontefice scrisse anche una dotta ode in latino dedicata alla nuova forma di rappresentazione. Oh, Sancta Photographia!
Ma oggi, dove sono e come sono conservate le foto dei papi? E quante sono nel loro complesso? E ancora: che tipologie di immagini rappresentano? Rispondere a queste domande è molto facile. La raccolta fotografica papale è conservata nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Biblioteca Apostolica Vaticana, che conta circa 200mila fotografie ed è affidata alle mani esperte di Barbara Jatta, storica dell'arte e responsabile del Gabinetto grafico, che insieme a un pool di giovani e intraprendenti colleghe (una vera e propria enclave di donne in Vaticano) non solo studia, conserva e promuove la conoscenza dei fondi fotografici ma ne sta curando il progressivo trasferimento sui supporti informatici. Gli studiosi che frequentano la Biblioteca Vaticana possono ovviamente richiedere la consultazione delle fotografie, conservate in album o in scatole apposite. Ma anche chi non varca i Sacri Palazzi per motivi di studio può farsi adesso un'idea chiara di queste raccolte grazie a due bellissime pubblicazioni edite dalla Biblioteca Apostolica.
Il primo volume è quello scritto quest'anno dalla studiosa americana Sandra S. Philips e si intitola The Papal Collection of photographs in the Vatican Library. Dal libro si apprendono moltissime cose. Innanzitutto i termini cronologici della vicenda: la "stagione d'oro" della fotografia in Vaticano è partita con Pio IX e si è sostanzialmente conclusa con Pio XII, il cui pontificato ha segnato l'affermazione delle immagini "in movimento" di cinema e televisione, rispetto a quelle statiche della fotografia. I pontificati successivi – da Giovanni XXIII a Benedetto XVI – hanno naturalmente prodotto ancora molto materiale fotografico, ma questo è in gran parte conservato da altre istituzioni vaticane, come ad esempio l'archivio dell'«Osservatore Romano».
La fototeca papale è sostanzialmente una raccolta di immagini storiche di notevole bellezza e qualità. Oltre ai ritratti di papi, alle cerimonie, agli incontri diplomatici e pastorali, oltre alle scene della vita della corte e dello Stato Pontificio e alle immagini (con relativi negativi) di tutte le opere d'arte conservate in Vaticano, la raccolta offre qualcosa di ulteriormente curioso e insolito. Sono i cosiddetti "Indirizzi Papali", sostanzialmente degli album di fotografie (spesso sontuosamente rilegati in cuoio, ma anche in argento) che i fedeli cattolici spedivano al papa da ogni parte della terra. Sfogliando questi album, il pontefice poteva farsi un'idea di come fossero le città dell'America Latina, i ghiacciai delle Ande, le rovine delle missioni portoghesi in Asia, le ferrovie, i dirigibili, le automobili eccetera. Inoltre, tramite quest'invii di immagini, era possibile osservare da vicino le caratteristiche somatiche delle varie etnie che avevano accolto il Verbo di Cristo predicato dai missionari. In sostanza, le foto – spesso di una bellezza e di una intensità mozzafiato – portavano ai pontefici, che allora non viaggiavano, il mondo comodamente in casa.
Un altro importante nucleo di fotografie è dedicato alle opere d'arte: chiese, palazzi, castelli, rovine, quadri e sculture. A questo rilevante aspetto della fototeca è dedicato un volume apposito, redatto nel 2010 da Anna Maria Voltan e intitolato Cento Immagini del XIX secolo dalla Raccolta fotografica della Biblioteca Apostolica Vaticana. Anche in questo caso le bellezze artistiche dell'Orbe intero vengono messe sotto gli occhi dei successori di Pietro. Roma e le sue chiese, il Cairo e i suoi minareti, Atene e la sua Acropoli risultano perfettamente immortalati, e spesso con così alta perizia tecnica da suscitare l'autorgoglio degli stessi fotografi. Infatti, se si osserva attentamente, si nota che alcune fotografie sono firmate dall'autore a mano, in basso a destra, come fossero quadri.

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