Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2012 alle ore 17:21.

My24

Almost Famous recensisce solo musica indipendente. Inviateci demo, Ep e album più o meno auto-prodotti all'indirizzo almostfamous.ilsole24ore@gmail.com. Parleremo di chi ha tante idee e pochi soldi per realizzarle. Spietatamente

Nell'immaginario rock c'è molto del mito di Dr. Jeckyll e Mr. Hyde. Tipo la storia del giovane Elvis Aaron che di giorno guidava autobus in giro per il Tennessee e di notte diventava the Pelvis. O quella dell'allievo paracadutista James Marshall che, quando sfuggiva allo sguardo vigile del sergente di turno, imbracciava la chitarra elettrica e studiava il modo per rivoluzionarla per sempre.

Chi volete che si stupisca di Franco Perla, ingegnere elettronico 37enne nativo di Sassari che un anno fa a Londra, nei panni di Frank Pearl, è arrivato secondo su 1.800 chitarristi accreditati da tutto il mondo per la terza edizione del contest «Guitar Idol». Ha ottenuto una menzione dagli Staind, band statunitense post-grunge, per come ha reinterpretato l'assolo della loro «Not again». Di vero c'è che Franco – o Frank, che dir si voglia – quando imbraccia la Jackson è una forza della natura: spara note a raffica come fosse un mitragliatore Uzi, poi rallenta in effettatissimi arpeggi tricorde, quindi si incarognisce come un cattivo dei film di Quentin Tarantino e sfodera power-chord freddi e tosti come il marmo. Avrete capito il genere: Perla è un rock virtuoso della sei corde, fanatico della tecnica (nonostante il lavoro, non rinuncia a quattro ore di studio al giorno e si vede), nonché della strumentazione.

È cresciuto avendo come punto di riferimento i grandi virtuosi metal oriented degli anni Ottanta, primo fra tutti Jason Becker, bloccato da una sclerosi laterale amiotrofica quando era al clou della carriera. Ha studiato con Joe Testa, Paul Gilbert e Andrea Braido. Anche in questo caso, si vede: ha canzoni a sufficienza per riempire un album, tutte profondamente influenzate dalla musica su cui si è fatto le ossa. Innanzitutto «The Neverendless Song», il brano eseguito dal vivo a Londra un anno fa, in occasione della premiazione. Suggestioni crepuscolari degne dei Dream Theater, accelerazioni al cardiopalma stile Yngwie Malmsteen, qualche intermezzo cantabile alla Steve Morse. «Other ways» è una ballad ottimista e a tratti dissonante che, arrivata a metà, cresce assecondando una interessante tensione melodica. «Unsigned» sembra voler sposare il virtuosismo al format street rock. Precisazione necessaria: in tutti i brani da lui registrati in studio, Perla suona e sovraincide tutti gli strumenti. Per ora preferisce non arruolare turnisti: «Nel mio album d'esordio – spiega – voglio che a suonare la batteria sia Virgil Donati, a lungo batterista di Steve Vai. Voglio esattamente quel suono lì. O trovo un producer che mi ci fa lavorare o metto da parte io i soldi e lo chiamo». Caparbio e perfezionista come tutti gli artisti sardi.

L'unica critica che si può muovere a Frank Pearl, riguarda la composizione: troppo vincolata ai modelli di riferimento. Bene sarebbe se trovasse davvero un bravo producer, di quelli in grado di capitalizzare doti evidentissime e aiutare a imboccare la via. Perché non sono affatto in discussione le sue superbe doti di interprete che, già oggi, lo renderebbero un versatile turnista del circuito mainstream. Uno così, se la fortuna lo assiste, arriva lontano.

Frank Pearl
Perpetual Burn – Il canale YouTube ufficiale

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi