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Questo articolo è stato pubblicato il 29 luglio 2012 alle ore 08:16.

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«Il Novecento in Medio Oriente è finito il 17 dicembre 2010 in un piccolo comune della Tunisia, Sidi Bouzid, dove Mohammed Bouazizi, un giovane ambulante di frutta e verdura si è ucciso dandosi fuoco. Una forma inconsueta di suicidio per il Medio Oriente che ci ha abituato a kamikaze che si fanno saltare in aria per cause politiche o utopie millenaristiche». È l'incipit che definisce l'insieme temporale del nuovo saggio sulla regione di Marcella Emiliani.
Che nasca la democrazia o s'impongano forme di estremismo religioso, niente sarà più come prima sull'altra sponda del Mediterraneo e in quella vasta regione alle sue spalle, complessa e dopo tutto non così omogenea, che Emiliani definisce «i Medio Orienti» o «Medio Oriente liquido». Per questo non è stato facile il suo lavoro: cercare di condensare in due volumi e un migliaio di pagine la storia del Medio Oriente moderno. A marzo era uscito il primo, dal 1918 al 1991; ora il secondo dal '91 alle Primavere arabe dove l'opera era incominciata. Da molti anni è il primo lavoro complessivo scritto da un autore italiano.
Non si può capire quello che sta accadendo oggi in Medio Oriente se non si conosce ciò che si lasciò alle spalle l'impero ottomano, disgregandosi nel 1917 e '18; né quali danni negli anni successivi fecero le potenze coloniali europee. Anzi, due potenze: Gran Bretagna e Francia. È da qui che parte Marcella Emiliani, un raro caso di passaggio riuscito dal giornalismo all'accademia: ha da poco lasciato l'Università di Bologna dove insegnava a Scienze politiche.
La grande cesura degli studi sulla regione sono due autori fondamentali: il palestinese-americano Edward Said che scrisse Orientalism, una critica al modo superficiale e presuntuoso in cui la cultura europea ha sempre giudicato l'Oriente; e l'ebreo anglo-americano Bernard Lewis che indica nei limiti del mondo arabo la sua arretratezza. Marcella Emiliani si pone in mezzo al guado, indicando prima di tutto la doppia ignoranza nella capacità di un mondo di comprendere l'altro. È la linea di tutto il saggio che non prende posizione ma soprattutto spiega, mettendo a confronto le diverse storiografie come nel caso della nascita di Israele.
Finiti l'impero ottomano, la fase coloniale europea che inventa dal nulla diversi Stati (Libano, Giordania, Iraq, Libia) e la Seconda guerra mondiale, sono cinque i grandi avvenimenti che definiscono il Medio Oriente moderno: la fondazione d'Israele nel 1948, Nasser e il nasserismo, la Guerra dei Sei giorni del '67, lo shock petrolifero del '74 e la rivoluzione khomeinista del '79.
Probabilmente il mondo arabo sarebbe comunque stato una regione difficile ma la nascita d'Israele fu un avvenimento oggettivamente destabilizzante. Emiliani affronta la questione, appunto oggettivamente, ricordando sia la posizione degli storici ufficiali sionisti che i "nuovi storici" israeliani. La storiografia araba è lacunosa e propagandistica.
La rivoluzione egiziana del 1952, i successivi colpi di Stato in molti altri Paesi e la loro militarizzazione sono anche una conseguenza della guerra vinta da Israele nel 1948. Con Nasser si afferma un nuovo ceto sociale, più che politico, inadeguato a modernizzare davvero la società civile. Lo Stato, scrive Emiliani, «era totalmente dominato dai militari chiamati a fungere da politici, amministratori e pianificatori economici» poiché si sentivano «l'avanguardia cosciente delle masse analfabete». «Le radici dell'overstating, della stratocrazia mediorientale, sono già tutte qui e l'esempio egiziano fece scuola».
Poi ci fu la Guerra dei Sei giorni del 1967, quando «l'intero Medio Oriente subì uno scossone epocale». Con l'occupazione israeliana dei territori, il conflitto si cristallizza, diventa insolubile e si trasforma in una pietra di paragone di ogni conflitto regionale. Anche di quelli che non vi hanno niente a che fare.
La Guerra del 1973, successiva e invece conseguente a questa, ebbe due sviluppi: uno importante e uno no. Il secondo fu la pace di Camp David fra israeliani ed egiziani: strategicamente fondamentale per Israele ma non per il processo di pace che non si allargò ad altri Paesi. La conseguenza importante, il quarto grande avvenimento del Medio Oriente, fu lo shock petrolifero che seguì alla guerra. Non tanto il breve embargo contro l'Occidente che aveva sostenuto Israele, quanto l'aumento dei prezzi del greggio e le nazionalizzazioni: per la prima volta gli arabi trasformavano il petrolio in un'arma politica. Emiliani analizza molto bene la trasformazione in "rentier States" dei regni ed emirati del Golfo. Forse sottovaluta la dimensione globale della vicenda: fu il più grande e repentino trasferimento di ricchezza dal Primo al Terzo mondo, molto prima delle fenomenali crescite economiche cinese e indiana.
Infine la Rivoluzione khomeinista del 1979, anno importante anche per la pace di Camp David e per la salita al potere di Saddam Hussein, ricorda Marcella Emiliani. Come gli altri, i mutamenti in Iran sono in parte conseguenza di un avvenimento precedente, il boom petrolifero nella regione. Ma l'aspetto più importante, come scrive Emiliani, è il «sovvertimento dal basso dell'ordine costituito che non si era mai verificato in nessun altro Paese del Medio Oriente». È in qualche modo la premessa al successivo volume che dalla fine della prima Guerra del Golfo del 1991 (è con Desert Storm che si conclude il primo), arriverà alle Primavere arabe: c'è una conclusione democratica nelle Primavere o non esiste alternativa alla versione islamica iraniana?

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