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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 13:02.

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Gore Vidal, 86 anni, scrittore, saggista, sceneggiatore, candidato politico, è morto stanotte nella sua casa di Hollywood per le complicazioni di una polmonite.

Intellettuale iconoclasta, irriducibile polemista radical, geniale romanziere, Gore Vidal nel corso della sua lunga carriera sempre amato correre controvento, indifferente alle critiche dell'establishment e di molti colleghi. Una raffinata intelligenza e un'enorme cultura cosmopolita gli permettevano di trovarsi a proprio agio su entrambe le sponde dell'Atlantico e certo avrebbe meritato quel Nobel che gli accademici svedesi non gli concessero mai a causa di idee ritenute con ogni probabilità troppo eterodosse.

Battersi senza risparmio e senza coraggio per le proprie idee era, del resto, una caratteristica di famiglia. Il nome Gore, lui che era nato Eugene Luther, lo aveva scelto in omaggio al nonno materno, Thomas Gore, a lungo senatore dell'Oklahoma. Di politica cominciò ben presto a sentir parlare in casa: il padre era capo di gabinetto di Roosevelt e vantava anche un legame di parentela con i Kennedy. Bastano probabilmente questi scarni dati biografici per spiegare l'interesse costante per la cosa pubblica e la scelta, nell'immediato dopoguerra, di narrare la storia statunitense degli ultimi due secoli, la nascita della società di massa e di mettere inoltre al centro di una parte dei suoi testi quell'universo omosessuale al quale apparteneva senza farne mistero, con grande scandalo della buona borghesia che pure ne apprezzava l'opera.

Come ha sottolineato Charles McGrath ricordandolo oggi sul "New York Times", Gore Vidal apparteneva alla rara categoria degli ingegni che sanno sempre mostrarsi all'altezza di qualsiasi compito si propongano: mirabili i suoi romanzi (ne ha pubblicati venticinque), eccellenti i volumi di memorie, lucidi e taglienti i saggi apparsi su prestigiose riviste e quindi raccolti in una serie pubblicata quasi per intero in Italia dalla Fazi che ha in catalogo gran parte della sua opera. Nell'ambito della scena culturale americana del Novecento solo Norman Mailer e Truman Capote sono al medesimo livello, mentre tra gli ispiratori nell'ambito della lingua inglese si possono citare Swift e Oscar Wilde, rivisitati mescolando stile e arguzia di maestri tanto diversi tra loro. Chi ne dubita può rileggersi Myra Breckinridge (1968), spietata satira del mondo di Hollywood e dei ruoli di genere che vendette in pochi mesi tre milioni di copie negli Usa per poi sbarcare trionfalmente in Europa. Se la cattiveria della protagonista ricorda le pagine più celebri di Swift, infatti, i dialoghi e molte situazioni sono di evidente matrice wildiana.

Innamorato dell'Italia (a lungo ha trascorso lunghi periodi a Roma e in una splendida villa a Ravello), proprio in Campania era apparso per l'ultima volta in pubblico nel 2010 per presentare un libro-dvd in cui metteva sotto accusa la politica estera del suo paese definita «imperialista e aggressiva» e, addirittura, condannava «la finta retorica pacifista e l'irritante buonismo» di Obama. A chi chiedeva il motivo delle aspre critiche nei confronti di un leader che pure aveva sostenuto in campagna elettorale risposte: «Mi ha deluso. A dispetto delle apparenze mostra una preoccupante continuità con i Bush. Credevo che avesse l'energia e la forza di diventare un nuovo Lincoln e invece purtroppo sta ripetendo gli errori di sempre dei politici che non sanno opporsi ai generali e, soprattutto, ai poteri forti della finanzia. Voleva cambiare Washington e invece è stata Washington a cambiare lui». La letteratura e l'impegno civile hanno costituito i due poli di una attività intellettuale sempre vissuta sotto i riflettori e con formidabile coraggio. «Non penso che tutti gli scrittori debbano essere anche attivisti politici -. afferma nel tomo conclusivo dell'autobiografia – Diciamo che ne basterebbe uno per generazione». Non c'è dubbio che sia stato proprio Gore Vidal a incarnare questo ruolo negli Stati Uniti della seconda metà del secolo scorso.

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