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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2012 alle ore 08:20.

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Una supernova si accende a Roma nei primi anni del Cinquecento. Brucerà intensissima per due decenni, nel corso dei pontificati di Giulio II e di Leone X. Si manifesta con il progetto di Bramante per la basilica di San Pietro, con la volta della Sistina di Michelangelo e con la Scuola di Atene di Raffaello. Un'arte e un'architettura nuove, fondate sulla grandezza di quelle romane antiche, senza tempo e senza inflessioni regionali. La morte della stella sarà decretata dal Sacco di Roma nel 1527, ma la luce fossile continuerà a propagarsi a lungo.
Il progetto per San Pietro è del 1506, la Sistina comincia due anni più tardi e di lì a poco Raffaello interviene nelle Stanze. È quindi Giulio II, che morirà nel 1513, a generare il primo bagliore: la scelta di artisti sommi e la visione che lo Stato della Chiesa possa esprimere una supremazia culturale attraverso un'arte anticamente moderna. Ma la luce diviene abbagliante quando, nel marzo del 1513, è eletto papa Giovanni de' Medici, il figlio di Lorenzo il Magnifico, con il nome di Leone X.
La giovane età, la formazione umanistica seguita da Poliziano e Pico, il mito del mecenatismo del padre, ingenerano l'idea di una nuova età, un'età dell'oro nelle arti e nelle lettere. Rimane la qualità eccezionale degli artisti coinvolti da Giulio II, ma in più vi è, fra i protagonisti, un senso inedito di consapevolezza di quanto sta accadendo.
La regia di questa visione culturale non è di un artista, ma di un letterato: Pietro Bembo. Bembo è chiamato da Leone X al proprio fianco come segretario ai brevi, affinché la Curia si esprima in un latino senza pari. Ma non si trattava solo di questo. Nel 1512, nella polemica con Gianfrancesco Pico su quali modelli dovessero essere alla base del latino umanistico, Bembo aveva contrastato una visione antiquaria onnivora, a favore di un riferimento unico: Cicerone. Nessuna concessione ai vocaboli ricercati nella latinità argentea, ma ricerca del modello perfetto. È questo il nocciolo ideologico dell'età di Leone X: se nel passato è selezionabile un riferimento assoluto, un'aurea aetas, chi è in grado di leggerla e coglierne l'eredità pone le basi perché la propria stessa età sia aurea. La corte di Leone X diviene qualcosa di mai visto prima: non una corte locale in gara con le altre per lusso e raffinatezza, ma la sola corte italiana, nella quale a nascere è un'arte italiana. Protagonista di quella stagione, Bembo acquisisce un ruolo chiave nella cultura del suo tempo grazie alle Prose della volgar lingua, pubblicate a Venezia nel 1525, ma che già circolavano manoscritte da più di un decennio. Con esse egli norma l'uso di una lingua letteraria nazionale, l'italiano, fondato sui modelli di Petrarca e Boccaccio, e in grado di superare la frammentazione linguistica della sua epoca.
«Pietro Bembo e l'invenzione del Rinascimento» è il titolo di una mostra d'arte che aprirà a Padova nel febbraio del 2013, grazie alla Fondazione Cariparo, frutto del lavoro di un gruppo di studiosi coinvolti da Howard Burns, Davide Gasparotto, Arnold Nesselrath, Vittoria Romani, Adolfo Tura e chi scrive. Ma si può fare una mostra d'arte incentrandola su un letterato?
Il fuoco della nostra mostra non è il Bembo uomo di lettere, ma la progettualità che accompagna la creatività dell'arte. In essa Bembo è il punto d'osservazione, l'inquadratura attraverso cui raccontare cosa fa sì che il Rinascimento sia stato vissuto come tale dagli stessi protagonisti. Il proemio al terzo libro delle Prose si apre con una similitudine che riguarda le arti. Roma – scrive Bembo – pullula di artisti che studiano le Antichità; essi devono realizzare opere per il proprio tempo, ma pensano di poterlo fare solo impadronendosi dei segreti dell'arte antica: i migliori nel farlo sono Michelangelo e Raffaello. Ecco comparire il paragone che diventerà mito: i dioscuri di un'arte nuova, fondata sull'autorità dell'antico ma in grado di parlare al futuro, universale. Nasce quella che Vasari chiamerà la maniera moderna e che dominerà il gusto occidentale per secoli. È anche il momento in cui viene definito il linguaggio degli ordini architettonici, che con Serlio, Vignola e Palladio diventeranno la lingua europea dell'architettura.
Per realizzare la mostra hanno concesso opere delicate e preziose, da Raffaello a Tiziano a Michelangelo, i grandi musei internazionali come il British Museum, il Louvre, la National Gallery di Londra e di Washington, i Musei Vaticani, il Prado. In Italia, come si sa, è sempre tutto un po' più difficile, ma stanno arrivando opere molto importanti anche dai nostri musei. Del resto dobbiamo pensare che all'Italia frammentata del primo Cinquecento, in profonda crisi e dilaniata dagli eserciti stranieri, le Prose di Bembo offrirono un'identità comune in cui riconoscersi, proponendo un'unificazione del Paese a partire da una lingua nazionale. Il progetto di Bembo, la sua scommessa, è che un'Italia unita possa acquisire attraverso la cultura il primato che le armi le hanno tolto. Forse oggi è un momento in cui può essere utile riflettere su quella scommessa, che allora fu vinta.
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il personaggio
Pietro Bembo (Venezia, 20 maggio 1470 – Roma, 18 gennaio 1547) è stato un cardinale, scrittore, grammatico e umanista italiano. Regolò per primo in modo coerente la lingua italiana, fondandola sull'uso dei massimi scrittori toscani trecenteschi. Contribuì potentemente alla diffusione in Italia e all'estero del modello poetico petrarchista ed ebbe un ruolo fondamentale nella definizione del linguaggio artistico italiano. Le sue idee furono inoltre decisive nella formazione musicale del madrigale.

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