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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2012 alle ore 08:20.

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L'attività espositiva dell'Istituto Matteucci di Viareggio prosegue nel suo approfondimento della cultura figurativa del nostro Ottocento, con particolare riferimento all'ambito della pittura dei Macchiaioli su cui nel tempo ha raccolto materiali e fonti fondamentali, puntando ora su un'esposizione di carattere monografico dedicata a un esponente di quel movimento come Odoardo Borrani, ingiustamente declassato dal ruolo di protagonista che gli spetta a tutti i diritti, accanto ai più noti Lega, Fattori e Signorini, a quello di semplice comprimario.
Una sfortuna che ha diverse ragioni, dal numero esiguo dei dipinti – e non si tratta poi dei più significativi – conservati nelle raccolte pubbliche a una bibliografia ferma al 1981, quando insieme al catalogo realizzato da Piero Dini venne organizzata da Dario Durbè una piccola mostra al Gabinetto Vieusseux di Firenze, alla, e non senza un peso decisivo, sua stessa biografia priva di quei tratti che potessero alimentare un qualche interesse sulla sua figura. Dalle scarse testimonianze e dal poco che resta del suo epistolario emerge infatti una personalità schiva, addirittura soggetta, come ci testimonia l'amico Cecioni, ad «attacchi di misantropia», al punto che «lavorava e studiava senza vedere mai nessuno, all'infuori di pochi amici che andavano ogni tanto a trovarlo».
Questa mostra bellissima e struggente, ideata da Giuliano Matteucci (con il catalogo a cura di Silvio Balloni e Anna Villari), riesce a far riemergere, attraverso dipinti inediti o mai esposti prima, se non all'epoca, tanto da poter parlare senza paura di esagerare di capolavori ritrovati, la grandezza imprevista di una pittura che non si può ridurre, come per alcuni macchiaioli "minori", a una cifra circoscritta, ma che ha avuto un ampio respiro nel saper rappresentare un'epoca, gli «anni difficili» dell'Italia postunitaria, passando con la stessa forza dal paesaggio puro, al ritratto, alla pittura di interni, addirittura al genere storico declinato con una originalità assoluta. Pensiamo solo a tre quadri famosi, come Il 28 aprile 1859 in Firenze, Le cucitrici di camicie rosse e Il dispaccio della sera del 9 gennaio 1878 (qui esposto), relativo alla lettura in un interno che ha il sapore di un notturno seicentesco della notizia della morte di Vittorio Emanuele II, essi scandiscono con un'emozione straordinaria l'intera vicenda del nostro Risorgimento dalle speranze iniziali alle ultime disillusioni.
Volontario nel 1859, egli iniziò la sua carriera pittorica partecipando alle discussioni del Caffè Michelangelo ed eleggendo alcuni luoghi che gli sembravano più adatti alle nuove sperimentazioni sulla luce e il colore. Prima venne l'asprezza montuosa di San Marcello Pistoiese, lungo una rotta che aveva scoperto andando soldato al Nord, dove dipinse accanto a Sernesi, poi Piagentina, la campagna malinconica fuori delle mura di Firenze, dove fu inevitabile e diede straordinari risultati l'incontro con Lega, poi ancora Castiglioncello dove, sotto la guida dell'ospitale Martelli i suoi interlocutori principali furono Abbati e Fattori. Finita, con gli anni Sessanta, la stagione più propriamente della macchia e dissoltosi il movimento, anche e soprattutto per lui il resto del cammino fu solitario. Se prima lo ritroviamo con Signorini a documentare, e questo ci conferma la sua versatilità, gli angoli più nascosti del centro storico fiorentino, quei luoghi più popolari che erano sfuggiti alla violenta ristrutturazione urbanistica e alle demolizioni iniziate quando la città venne scelta come capitale provvisoria del Regno d'Italia. Amareggiato, non gli rimase che rifugiarsi in una periferia che era ancora campagna, nella valle del Mugnone, dove produsse gli ultimi capolavori, vedute tanto intense, riprese lungo quella modesta via d'acqua o lungo l'Arno, che sembrano anticipare le atmosfere misteriose del paesaggio simbolista di fine secolo.
La qualità che più distingue la pittura di Borrani da quella degli altri Macchiaioli, e che ritroviamo sia nel nitore silenzioso dei suoi paesaggi che nella solidità delle sue figure, è dovuta al suo intenso e continuo dialogo con la pittura del Quattrocento, iniziato sin da quando aveva seguito in Accademia, e poi nei cantieri di restauro, Gaetano Bianchi, il grande restauratore di Paolo Uccello, del Ghirlandaio, di Giotto, del quale aveva avuto la fortuna di riscoprire gli affreschi della Cappella Bardi in Santa Croce coperti dalle scialbature settecentesche. Ma poi in certe pitture d'interni, come le vedute claustrali o L'analfabeta o Una visita al mio studio, sembra riscoprire una luce ancora diversa che è quella della pittura olandese del Seicento, addirittura di Vermeer riportato proprio in quegli anni in onore dal critico francese Théophile Thoré-Bürger.
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Borrani al di là della macchia. Opere celebri e riscoperte, Viareggio, Istituto Matteucci per l'Arte Moderna; sino al 4 novembre

l'artista
Odoardo Borrani (Pisa, 22 agosto 1833 – Firenze, 14 settembre 1905) studiò pittura all'Accademia di Firenze, orientato inizialmente verso il genere storico. Nel 1853 conobbe Telemaco Signorini e con lui nel 1859 partì volontario per le guerre d'unificazione italiana. Al rientro si orientò verso la ricerca macchiaiola e si avvicinò, in seguito, alla poetica di Silvestro Lega. Si distinse per la ricerca di effetti di luce, frutto di continui spostamenti e appostamenti a contatto con la natura.

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