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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2012 alle ore 08:16.

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Attorno alla metà del secolo scorso il mondo della filosofia occidentale poteva essere rappresentato con un semplice diagramma. Si prenda un quadrato e lo si divida in quattro parti: nel quadrante in alto a sinistra si collochi l'esistenzialismo, allora in voga nella parte occidentale dell'Europa continentale; nella parte in alto a destra la tradizione analitica o linguistica dominante nei Paesi anglofoni; nell'angolo in basso a sinistra si collochi il marxismo, allora la filosofia ufficiale dell'Europa dell'Est e della Cina; nella parte in basso a destra la filosofia scolastica della Chiesa Cattolica romana.
Le filosofie della parte superiore del diagramma erano individualistiche: la filosofia non era considerata come un corpo di dottrine ma come un metodo di pensiero (filosofia analitica) o uno stile di vita (esistenzialismo). Le filosofie della parte inferiore erano collegate a istituzioni non filosofiche, le quali ritenevano che le verità più importanti fossero state stabilite una volta per tutte. Le filosofie poste sul lato destro erano interessate alla logica formale, mentre quelle sul lato sinistro si vantavano del loro interesse partecipe nei confronti delle realtà concrete e fondamentali dell'esperienza umana.
Nell'ultima parte del secolo scorso queste divisioni crollarono. Il collasso del comunismo sovietico spazzò via la sottomissione alla politica tipica della filosofia marxista, e in seguito al Concilio Vaticano II la scolastica dei manuali allentò la sua presa sui seminari cattolici. Molti pensatori continentali iniziarono a interessarsi all'analisi linguistica e la filosofia anglofona cominciò ad abbandonare l'arrogante insularità che l'aveva contraddistinta nel suo periodo d'oro.
Uno sviluppo nuovo e interessante fu l'emergere di una scuola di pensiero che diventò nota con il nome di "tomismo analitico". Diversi filosofi che si erano formati con i metodi dell'analisi linguistica presero a studiare l'opera di san Tommaso d'Aquino e tentarono di presentare il suo pensiero in un modo che fosse congeniale ai loro colleghi analitici. Seguaci di Wittgenstein, ne condividevano la demolizione dell'epistemologia e della metafisica cartesiana, e trovarono l'aristotelismo di Tommaso più congeniale al loro pensiero di quello degli eredi razionalisti ed empiristi di Cartesio. La riscoperta analitica di Tommaso cominciò in Gran Bretagna con gli scritti di Peter Geach dell'Università di Birmingham e negli Stati Uniti con l'opera di Norman Kretzmann della Cornell University. La filosofia della mente di Tommaso, la sua metafisica, e la sua etica continua oggi a trovare esponenti entusiasti nelle università laiche di lingua inglese.
Il tomismo analitico è stato largamente ignorato dai tomisti continentali. Giovanni Ventimiglia, direttore dell'Istituto di Studi filosofici della Facoltà di Teologia di Lugano e docente alla Università Cattolica di Milano, cerca ora di rimediare a questa situazione. Egli è qualificato in modo veramente unico per farlo, dal momento che non ha rivali nella conoscenza degli scritti degli studiosi di entrambe le tradizioni e possiede una ammirevole consapevolezza dei loro punti di forza e dei loro punti deboli. Nel suo libro To be o esse? La questione dell'essere nel tomismo analitico (Carocci, Roma 2012, pagg. 392, € 36,00) egli si concentra su un solo, centrale, argomento: la filosofia dell'essere. Egli dedica alle opere di Geach e di una mezza dozzina di suoi seguaci (me compreso) capitoli scritti con pazienza e buona disposizione, sebbene non privi di spirito critico. Tutti coloro su cui egli ha scritto dovrebbero essere grati di aver trovato in lui uno studioso così simpatetico con i loro punti di vista, sebbene sia possibile che di tanto in tanto essi desiderino dissentire dall'interpretazione che egli ha dato del loro pensiero.
Il verbo "essere" e la questione dell'esistenza ha costituito un rompicapo per i filosofi dai tempi di Parmenide. Quando i filosofi si chiedono quali cose esistano realmente e quali no, di solito hanno in mente molte e differenti contrapposizioni. La contrapposizione può essere quella fra fatti e finzioni (le stelle marine esistono, le sirene no), oppure quella fra l'(ancora) esistente e l'estinto (gli alligatori esistono ancora, i dinosauri non più), o quella fra il concreto e l'astratto (i numeri esistono nello stesso senso in cui esistono i cavoli?)
I filosofi della tradizione analitica, al seguito di Frege, si sono concentrati sull'esistenza nel primo senso, e hanno riformulato "le sirene non esistono" come "niente è una sirena", per evitare di dare l'impressione che "esistenza" sia un predicato. I seguaci di Tommaso concentrano la loro attenzione piuttosto sulla esistenza nel secondo senso: «La grande piramide esiste ancora mentre il faro di Alessandria non esiste più» è un insieme di proposizioni composte autenticamente di soggetto-predicato.
Il concetto di esistenza, tuttavia, è più complesso di quanto venga suggerito dai sensi contrapposti che ho appena abbozzato. La prima complicazione da affrontare è che il verbo "esiste" può essere predicato sia di specie (come in "esistono stelle marine") sia di individui (come in "la grande piramide esiste ancora"). La seconda complicazione è che il contrasto fra il concreto e l'astratto si presenta non soltanto fra oggetti materiali e numeri ma anche fra le sostanze e le loro proprietà o accidenti (La sordità di Beethoven esiste nello stesso senso in cui esiste Beethoven?). Queste e un numero di altre questioni sono discusse dal professor Ventimiglia in modo illuminante, specialmente nel suo capitolo finale sulle questioni aperte.