Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2012 alle ore 08:18.

My24

Come la fisica di pre-galileiana o pre-einsteiniana, e la chimica prima di Lavoisier, Mendeleev, van't Hoff erano sbagliate o limitate nelle spiegazioni del mondo non vivente, altrettanto le teorie politiche che precedono o che ignorano i contributi di Charles Darwin e degli psicologi, economisti e antropologi evoluzionisti non sono più gran che utili per capire quali sono le aspirazioni umane che muovono i processi politici. Siccome le nostre predisposizioni comportamentali sono articolate e consentono numerose combinazioni adattative, differenziate in rapporto alle ecologie locali, praticamente qualunque pensatore ha potuto o può trovare esempi storici o contingenti per difendere la superiorità della democrazia o dell'assolutismo, dell'egualitarismo o del liberalismo, eccetera. In qualche modo tutti possono pretendere o far credere di avere ragione. In realtà, nel merito, hanno quasi tutti torto.
Difendere sul piano teorico un punto di vista politico vuol dire, spesso, sostenere o che esiste una sorta di posizione originaria o naturale che ci rende portati verso una tra alcune opzioni alternative; ovvero che è possibile convenire razionalmente che una tra tali opzioni è la migliore. Per esempio, ci si schiera per il primato della libertà individuale o per quello dell'eguaglianza, perché si può pensare d'aver scoperto o di poter provare che per natura saremmo o egoisti o cooperativi, o individualisti o egualitari, eccetera. In realtà, queste giustificazioni sono sempre a posteriori, e le conclusioni sono condizionate dal tipo di ideologia somministrata con l'educazione e la cultura, oltre che ovviamente da tratti innati della persona.
La psicologia e l'antropologia evoluzionistiche, supportate dalle neuroscienze, dalla genetica, e dove è possibile anche dall'archeologia (che però ha dei limiti "tecnici", dato che non tutte le istituzioni sociopolitiche lasciano tracce fisiche), stanno disegnando un quadro abbastanza attendibile di quale sia la nostra effettiva natura di animali politici. Ebbene, veniamo al mondo con un mix di predisposizioni e aspettative selezionate nel corso di centinaia di migliaia di anni di esistenza (piuttosto grama secondo i nostri attuali standard di benessere, salute, sicurezza, eccetera) per farci vivere in, e tra bande di cacciatori-raccoglitori. Con argomenti empirici convincenti lo psicologo morale Johnatan Haidt mostra che l'evoluzione del comportamento ci ha universalmente dotati di disposizioni innate sia egoistiche sia cooperative. Inoltre, se non siamo sociopatici, non ci piace far male agli altri e proviamo compassione per le sofferenze altrui. Preferiamo l'egualitarismo, ma non su basi razionali, nonché propendiamo per la lealtà verso il gruppo e a diffidare, se non peggio, degli estranei. Apprezziamo la libertà per perseguire interessi personali, ma tendiamo anche a costituire gerarchie e quindi a subire comportamenti dominanti. Infine, siamo portati a coltivare credenze magico-superstiziose, associate alla protezione da rischi di malattie, che usiamo per rafforzare le obbligazioni sociali.
Le ricerche di economia evoluzionistica, tra cui gli studi di Paul Zak sull'ossitocina, confermano, dal livello neurochimico alla bilancia nazionale dei pagamenti, che gli scambi di beni hanno consentito un importante sviluppo morale delle società umane: cioè l'estensione delle relazioni di fiducia (basate su simpatia o empatia che dir si voglia) al di fuori della cerchia dei parenti. Da parte sua, l'antropologo evoluzionista e primatologo Christopher Boehm ricostruisce in modo coerente le origini dell'egualitarismo, che hanno a che fare con i vantaggi che l'altruismo, e le punizioni o la vergogna per atti antisociali conferivano al gruppo nelle attività di caccia e raccolto: in pratica, serviva a evitare i danni sociali procurati da eventuali scrocconi (free rider) o da troppo esigenti maschi alfa.
I cambiamenti ecologici hanno costretto, a un certo punto, i nostri antenati a inventare l'agricoltura e a vivere in società più numerose. E tutto è cambiato. In peggio per quanto riguardava attesa di vita, malattie e qualità del cibo. Però si cresceva di numero: che nell'economia della natura vivente è l'unica cosa che conta. Anche la libertà diminuiva e arrivavano le diseguaglianze. Dolorose e costose, ma in grado di far funzionare società che si allontanavano irreversibilmente dal numero di Dunbar (il numero medio di individui che costituivano le bande di cacciatori-raccoglitori e che ha condizionato l'evoluzione anatomofisiologica del cervello sociale). Di fatto, la situazione non è significativamente migliorata, secondo uno qualsiasi degli standard che per noi in occidente oggi contano, prima dell'età moderna.
Che cosa ha restituito a una parte della specie, cioè chi è nato e vissuto in Occidente dopo circa i tre quarti del Settecento, libertà ed eguaglianza? Probabilmente, a parte le condizioni ecologiche favorevoli, è stata l'invenzione della scienza moderna, del libero mercato e del diritto positivo. Che però non assecondano la natura umana. In realtà, creano condizioni lontane dalle preferenze o disposizioni innate. Come la competizione e la libertà economica, che vanno contro la logica degli scambi a somma zero prevalsi fino al mercantilismo e sfidano l'invidia che alimenta la politica dei sentimenti egualitaristi: ma creano ricchezza e quindi risorse da investire anche in tecnologie per migliorare la convivenza sociale. L'uso sistematico del pensiero controintuitivo, diffuso dalla scienza, consente di andare oltre il senso comune, scoprire le leggi che governano i fenomeno naturali e quindi inventare tecnologie per controllarli sempre meglio. Infine, lo stato di diritto, ha spersonalizzato finalmente il potere.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi