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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2012 alle ore 08:17.

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Quella che leggete è la seconda puntata della traduzione che lo scrittore Gianni Celati ha fatto dell'«Ulisse» di James Joyce e che il Domenicale presenta in esclusiva. Domenica scorsa purtroppo sono saltati i riferimenti che indicano la sospensione del testo ....
Ce ne scusiamo con l'autore e con i lettori.
nella traduzione di Gianni Celati
Secondo episodio
Presentazione di Mr Bloom, di stirpe ebraica,
che scarpinerà per Dublino dal mattino fino a notte fonda. Inizia così:
Mr Leopold Bloom mangiava di gusto le interiora di animali in genere e di volatili in particolare. Gli piaceva mangiare dense minestre di rigaglie, gozzi ripieni dal sapore pastoso, cuore farcito arrosto, fette di fegato impanate e fritte, uova di merluzzo fritte. Soprattutto andava matto per i rognoni di castrato alla griglia, che gli lasciavano sul palato un fine sapore di urina lievemente aromatica.
Aveva in mente i rognoni mentre si muoveva per la cucina senza far rumore, sistemando su un vassoio ammaccato le stoviglie per la colazione di lei. La luce e l'atmosfera della cucina erano gelide, ma fuori un dolce mattino estivo s'annunciava dovunque. Il che gli dava un certo languore allo stomaco.
Le braci si stavano arrossando.
Un'altra fetta di pane imburrato: tre, quattro, bene. Lei non voleva il piatto colmo. Bene. Volse le spalle al vassoio, prese la cuccuma dalla mensola e la mise sul fuoco di traverso. L'oggetto stava lì, uggioso e accosciato, col suo becco sporgente. Tazza di tè al più presto. Ottimo. Bocca secca.
Il gatto girava intorno alla gamba del tavolo, impettito con la coda eretta.
– Mgniao.
– Oh, eccoti qua, fece Mr Bloom, distogliendosi dal fuoco.
Il gatto miagolò in risposta e di nuovo girò intorno alla gamba del tavolo, con incedere impettito, miagolando. Come quando cammina impettita sulla mia scrivania. Prrr. Grattami la testa. Prrr. ...
Con scarpe che scricchiolavano lievemente salì la scala fino al vestibolo, fece una sosta sulla porta della camera da letto. Magari lei vorrebbe qualcosa di più gustoso. Fettine di pane imburrate, questo vuole al mattino. Però forse, una volta ogni tanto.
Nel vestibolo spoglio, comunicò a voce bassa:
– Vuoi che compro qualcosa per la colazione?
Un fioco grugnito sonnacchioso rispose:
– Mnn.
No. Non voleva niente. Udì allora un sospiro tiepido e fondo, ancora più fioco, mentre lei si rivoltava e tintinnavano gli anelli d'ottone sganciati nella lettiera. ...
Mentre scendeva le scale verso la cucina, lei chiamò:
– Poldy!
– Cosa?
– Riscalda la teiera.
Stava bollendo: un pennacchio di vapore dal becco. Riscaldò e risciacquò la teiera e ci mise quattro cucchiaini rasi di tè, inclinando poi la cuccuma per versare l'acqua. Mentre il tè si faceva, tolse la cuccuma dal fuoco, spinse la padella sui carboni ardenti, e osservò il pezzo di burro che sguillava e si scioglieva. Quando scartocciò il rognone, il gatto gli rivolse un miagolìo famelico. ... Infilò la forchetta nel rognone e lo rivoltò; poi sistemò la teiera nel vassoio. Appena lo sollevò, l'ammaccatura nel metallo rifece la sua gobba. C'è tutto? Pane e burro, quattro fette, zucchero, cucchiaino, il suo latte cremoso. Sì. Lo portò al piano di sopra, tenendo il pollice infilato nel manico della teiera.
– Quanto ci hai messo! fece lei.
Le molle del letto cigolarono quando lei si drizzò di spinta, col gomito poggiato al cuscino. Lui abbassò tranquillo lo sguardo sulle sue forme espanse e tra le sue poppe grosse e morbide, che digradavano nella camicia da notte, simili a mammelle d'una capra. Dal letto il tepore del suo corpo salì nell'aria, mischiandosi alla fragranza del tè che s'era versata. ... Seguendo il dito da lei puntato, egli raccolse sul letto una braca dei suoi mutandoni sporchi. No? Allora la grigia giarrettiera intorcigliata in una calza: soletta sformata, lustra.
– No: quel libro.
Altra calza. La sua sottoveste.
– Dev'esser caduto, fece lei.
Andò a tastoni qua e là. ... Il libro caduto, era spalancato contro la pancia del vaso da notte, decorata da una greca arancione.
– Dammi qua, fece lei. Ci ho messo un segno. C'è una parola che volevo chiederti.
Lui si chinò e lesse, accanto all'unghia lustra del suo pollice:
– Metempsicosi?
– Sì, cosa vuol dire in parlar da cristiani?
– Metempsicosi, fece lui aggrottando la fronte. È greco, viene dal greco. Vuol dire la trasmigrazione delle anime.

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