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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2012 alle ore 11:48.

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«Questa è la montagna per cui sono venuto qui!», esclama Sean Connery, protagonista di Cinque giorni un'estate. Svestito lo smoking di James Bond, l'attore scozzese indossa la giacca di tweed e il cappello floscio di un maturo medico inglese in vacanza in Engadina negli anni tra le due guerre. Una storia romantica e un po' torbida perché lei è la giovane nipote, bella e tormentata. Dopo alcune escursioni e scalate adatte alla ragazza, il dottore morde il freno. Finalmente la guida accompagna la coppia in un rifugio circondato da alte cime e passa al cliente il binocolo per mostrargli la meta dell'indomani. Mettendo a fuoco la stupenda vetta scintillante di neve e ghiaccio l'alpinista inglese rimane a bocca aperta e pronuncia la frase che riempie d'orgoglio il turismo valtellinese. Perché quella vetta è il Monte Disgrazia, la più alta cima tutta lombarda, che con i suoi 3.678 metri torreggia isolata tra la Val Masino e la Val Malenco.

Ma c'è di più. Il regista del film, l'anziano Fred Zinnemann, l'autore di Mezzogiorno di fuoco, è un austriaco trapiantato a Hollywood che conosce benissimo le montagne dell'Engadina, dove avrebbe l'imbarazzo della scelta per soddisfare Sean Connery alpinista. Invece per la sua fiction si prende una licenza geografica infilandoci il nostro Disgrazia. L'Engadina e la Svizzera sono oltre la cresta spartiacque, su cui spiccano cime famose di qua italiane e di là svizzere come il Pizzo Badile, il Cengalo e il colosso del Bernina ammantato di ghiacciai, il quattromila più orientale delle Alpi.

Curiosamente sulle carte austriache del Lombardo-Veneto il Disgrazia viene anche chiamato Pizzo Bello, forse per mitigare il toponimo funesto apparso la prima volta su carte napoleoniche. Un nome minaccioso ma fortunato perché più suggestivo e popolare. Sul suo significato si narrano ipotesi erudite e leggende fantasiose, tutte equamente infondate. Probabilmente i primi topografi presero fischi per fiaschi sentendo dire dai montanari della Val Malenco «desgiascia», ossia «dis-ghiaccia» in riferimento alle zone moreniche oltre i pascoli, e capirono «desgracia». Ancor più semplice e logico partire dal dialettale «mount de giascia» (monte di ghiaccio) per arrivare a Monte Disgrazia, nome perfetto per esercitare sugli alpinisti più seriosi, ieri come oggi, la stessa attrazione delle storie di streghe e paura che tanto attirano i bambini. È quest'ultima l'ipotesi etimologica più convincente. La avanza ora Giuseppe Miotti, curatore con Michele Comi della monografia Monte Disgrazia, Picco Glorioso - 150 anni di storia, splendida per documentazione e iconografia, in uscita da Bellavite con il contributo del Credito Valtellinese e della Fondazione Pro Valtellina. Miotti, guida alpina di Sondrio, è stato negli anni Settanta il leader dei sassisti che hanno riscoperto le pareti della Val di Mello e della Val Masino e da allora ne è il divulgatore più preparato. Più giovane, anche Comi di Valmalenco è guida alpina, oltre che geologo e animatore di MelloBlocco, raduno annuale di fama europea di bouldering, l'arrampicata su massi che furoreggia tra i giovanissimi. Dietro ai due autori si intuisce la passione di molti altri di queste valli che si sono mobilitati per un grande appuntamento, il 150° anniversario della prima ascensione del Disgrazia che si festeggia da domani a venerdì in Valmasino e Valmalenco coalizzate con rievocazioni, incontri e una piccola mostra.

In apertura del libro troviamo la chiave di tutto, il racconto dell'ascensione letto da Edward Shirley Kennedy, presidente dell'Alpine Club, ai colleghi a Londra dopo l'impresa dell'agosto 1862. Un testo illustre perché The ascent of Monte Disgrazia è il primo resoconto con cui si aprì il primo fascicolo - «spring 1863» - dell'Alpine Journal, la più autorevole rivista dell'alpinismo mondiale, che esce tuttora come annuario. Colpirà i profani il secondo capitoletto su Leslie Stephen e Virginia Woolf firmato da Silvia Miotti. Spiegazione: si tira qui in ballo la famosa scrittrice perché figlia di Stephen, il compagno di Kennedy sul Disgrazia, personaggio ben più importante per l'alpinismo delle origini. Fu un autorevole letterato vittoriano che pubblicò The playground of Europe, precursore della concezione antiretorica e sportiva dell'alpinismo. La prova più flagrante che lo sport inventato 150 anni fa è davvero un gioco, sia pure per grandi e non privo di rischi, è anche il vostro cronista di montagna che anni fa curò l'edizione italiana del classico libro di Leslie Stephen (Il terreno di gioco dell'Europa, Vivalda 1998) e oggi non ha resistito alla tentazione di raccontarvi del Disgrazia andandoci di persona.

Sono salito a Chiareggio in fondo alla Valmalenco per contemplare la parete nord che nel film incanta Sean Connery. Risalendo verso il passo del Muretto che porta in Svizzera appare lo sperone collegato alla vetta dall'ambita «corda molla», l'aerea cresta di neve e ghiaccio che è la via più bella per scalare il Disgrazia. Su questo versante compirono il primo tentativo gli inglesi condotti da Melchior Anderegg, coriacea guida dell'Oberland Bernese. Ma finirono su una cima più bassa, da essi definita Picco Glorioso, l'attuale Monte Pioda (3431 m). Per ripercorrere più fedelmente le loro orme mi sono trasferito sull'altro versante, in val Masino. Dal rifugio Ponti il mattino dopo sono andato in vetta per la «cresta degli inglesi» che la salirono legati alla corda di Anderegg. Io ero condotto dalla giovane guida Luca Maspes, il climber più famoso di queste parti. Ma le condizioni erano così buone che la corda è rimasta nel suo zaino.

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