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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2012 alle ore 08:17.

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Mentre Obama e Romney se le danno di santa ragione (anche) sulla collocazione di un busto di Churchill alla Casa Bianca, la Morgan Library dedica al grande statista inglese una mostra, aperta fino al 23 settembre e intitolata «Il potere delle parole». In un'ambientazione suggestiva e multimediale, che consente anche di ascoltare la voce di Churchill, sono esposti documenti e testimonianze scritte sulla sua carriera, con qualche sorpresa che conferma alcuni tratti diventati proverbiali del personaggio: per esempio, la ricetta medica che riuscì a ottenere in pieno proibizionismo, proprio a New York, dove era stato investito da un'automobile, e che gli consentì di farsi prescrivere alcolici «in dosi indefinite», specialmente «per le ore dei pasti».
In occasione della mostra è stato lanciato anche il sito (molto accattivante) www.discoverchurchill.org, destinato ad accrescere la conoscenza e la curiosità su Churchill presso i più giovani e i loro docenti: un esempio di come le biblioteche possano trasformarsi da luoghi di mera conservazione e consultazione in centri attivi di cultura (certo la Morgan Library è agevolata dalla meravigliosa sede ampliata da Renzo Piano).
La mostra è inoltre accompagnata da questo libro di cui è autore uno tra i maggiori studiosi di Churchill, lo storico britannico Sir Martin Gilbert, che ricostruisce la vita dell'uomo politico proprio attraverso le sue parole, tratte soprattutto da discorsi, più o meno celebri, ma anche appunti (che assumono la curiosa forma grafica di una poesia, o di un salmo) e pagine della sua sterminata produzione letteraria (che gli valse anche il Premio Nobel per la letteratura nel 1953).
Così, pagina per pagina, ciascuna con l'indicazione dell'anno di riferimento e dell'età raggiunta dal protagonista, scorre una delle vite più interessanti, drammatiche e decisive del Novecento, segnata nel corso dei decenni dall'efficacia della parola, scritta e orale, di cui Churchill riuscì a fare la più poderosa arma di propaganda. Lo riconobbe il presidente Kennedy quando, concedendogli la cittadinanza onoraria degli Stati Uniti, osservò che Churchill aveva «mobilitato la lingua inglese e l'aveva spedita in battaglia».
È probabile che all'interessato l'osservazione sia piaciuta. Egli infatti ebbe sempre particolare fiducia nella forza di una lingua condivisa con gli Usa e con gli altri Paesi di quello che era ancora l'Impero britannico, nella quale individuava un'autentica «cittadinanza comune». Dietro di essa, per Churchill c'era una completa visione del mondo e della politica, basata sul culto delle istituzioni parlamentari e sul rispetto delle libertà, nella quale si riassumeva la sua ricerca di un mondo «decente». Ne specifica i contenuti nel 1944 quando indica all'Italia, sotto forma di sette domande, i princìpi per la ripresa democratica, primo tra i quali «il diritto alla libera espressione di opinione e di opposizione e critica al Governo in carica».
Nel recensire la mostra, lo storico Paul Kennedy ha osservato come proprio questa fiducia nella libertà d'opinione, che non verrà mai meno, anche nei giorni più cupi, faccia di Churchill uno degli eredi più influenti di John Stuart Mill, tra i padri del liberalismo. Lo stesso Churchill, del resto, fu liberale anche per appartenenza politica per molti anni, rivestendo sotto quella bandiera le prime responsabilità ministeriali: tornerà tra i Conservatori, dopo un periodo da indipendente, quando il suo partito deciderà di appoggiare il governo laburista, osservando che «il sistema tripartito non potrebbe mai produrre una maggioranza di governo».
Da liberale, sarà responsabile delle politiche sociali e confesserà, ancora nel 1908, di non condividere l'idea di «coloro che dicono che ciascuno deve badare a se stesso e che l'intervento dello stato in materia sociale sia fatale alla responsabilità, alla prudenza e al risparmio». Da liberale, avrà dure polemiche coi Lords, che vogliono boicottare i progetti sociali del governo Asquith di cui fa parte, denunciandone la mancanza di rappresentatività, ricordando che «non possono autorizzare la spesa di un solo penny» e concludendo che il loro rifiuto è «cosa insolente».
Poi ci sono le pagine drammatiche della guerra e dell'immediato dopoguerra: molti dei suoi discorsi sono noti, a partire da quello celeberrimo nel quale promette, prima ai suoi ministri, poi al Parlamento, «sangue, fatica, lagrime e sudore». Anche nelle ore più dure (e non ne mancheranno: dalla temuta invasione nazista, ai bombardamenti sulle città inglesi, alla caduta di Singapore) Churchill non fa mai venire meno la fiducia nella forza delle istituzioni libere che avranno ragione di «Herr Hitler».
Non stupisce perciò che il vecchio leader, quando sarà sconfitto alle elezioni del 1945, non recriminerà; anzi ringrazierà il suo popolo per la fiducia che gli aveva accordato negli anni di guerra. Una lezione questa di fair play democratico che la dice lunga sulla forza delle istituzioni britanniche: e che lo stesso Churchill aveva anticipato qualche mese prima, in occasione della commemorazione che egli tiene ai Comuni del suo predecessore (e grande antagonista) Neville Chamberlain. Al vecchio Primo ministro, inizialmente convinto di poter contenere Hitler attraverso la trattativa, anche a costo di trascurare il riarmo della Gran Bretagna, Churchill non rinfaccia nulla, dandogli generosamente atto di «rettitudine e sincerità d'azione» nello sforzo attivo per l'«amore per la pace, la fatica della pace, l'impegno per la pace, il perseguimento della pace».

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