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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2012 alle ore 08:15.

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Cittadine dove si contano più armerie che spacci di generi alimentari. Banditi che anche dal carcere continuano a comandare come se fossero in libertà. Scalcinate corriere dove è esposta la preghiera di «non portare armi cariche a bordo». Siamo in India, nella regione del Chambal, dove imperversano i «dacoits», banditi senza pietà responsabili di centinaia di omicidi ogni anno. Contro tutti gli stereotipi circolanti sul suo immenso Paese, la scrittrice e giornalista indiana Annie Zaidi ha scritto un libro-reportage che (a parte una notevole affollamento di parole in lingua originale per i quali sarebbe stato utile un glossario) si legge con piacere per la fluidità della scrittura e l'abbondanza di dati.
Siamo fuori dalla banale triangolazione povertà-spiritualità-impetuosa crescita economica alla quale in genere si ricorre sbrigativamente per parlare dell'India.
In queste pagine si racconta del dilagare dell'alcool e delle droghe, fino all'uso a scopo narcotico degli sciroppi contro la tosse; dell'ossessione del sesso, con i muri delle piccole città ricoperti di pubblicità di sessuologi che fanno miracoli; della dittatura del cinema sull'immaginario collettivo; della capillarità della corruzione della burocrazia pubblica, prima responsabile delle morti per denutrizione provocate dal sistematico dirottamento sul mercato nero degli aiuti alimentari; della massiccia emigrazione clandestina verso l'Occidente, anche attraverso la piaga dei matrimoni di comodo con connazionali già emigrati; del dramma delle popolazioni tribali sradicate e deportate a godere la faccia peggiore della modernità in prefabbricati senza servizi igienici e acqua corrente.
Un'altra interessante annotazione è dedicata alla diffusa condizione di servitù persistente nelle campagne, causata dall'abitudine di versare al lavoratore una insufficiente somma lorda all'inizio della stagione; con la conseguenza che una volta esauritasi la provvista il bracciante sarà costretto a contrarre debiti-capestro con il datore di lavoro.
Anche a proposito della proverbiale spiritualità indiana, c'è poco spazio per le rappresentazioni convenzionali. «Ogni volta che si acutizza una crisi economica, o quando ci sono frustrazioni e insicurezza personale» spiega all'autrice il professor Seva Singh, docente di letteratura indiana, riferendosi in particolare al nuovo boom del sufismo, «la gente fa le rivoluzioni o ricorre alla spiritualità. Persino chi ha fatto i soldi non ha solide certezze e sta in ansia, temendo di perdere quanto ha guadagnato. Perciò, con frequenza sempre maggiore, ci si rivolge al misticismo o alle religioni tradizionali, nella speranza di trovare qualcosa a cui appigliarsi».
Ma è sulla condizione femminile che la Zaidi (di fede musulmana) scrive le pagine più drammatiche e appassionate. In India, annota, lo stupro è il reato che cresce più rapidamente, con un incremento di quasi il 700 per cento tra il 1971 e il 2006. Il 40 per cento delle donne viene picchiata duramente almeno una volta nella vita. Solo nel 2006 ben 7618 donne sono state uccise per questioni legate alla dote. Il feticidio femminile, favorito dal diffondersi anche nelle zone rurali delle apparecchiature ecografiche capaci di prevedere il sesso del nascituro, continua ad essere praticato su larga scala per il timore delle famiglie meno abbienti di doversi dissanguare per fornire alle femmine una dota adeguata. E anche quando gli esseri umani di sesso femminile riescono a venire al mondo, la loro esistenza è tutta in salita. Il 61 per cento delle bambine non viene mandato a scuola. Su oltre mezzo miliardo di donne indiane (l'ultimo censimento del 2001 ne registrò 496 milioni) solo 12 milioni arrivano a laurearsi. E il 25 per cento delle donne che lavorano fuori casa non viene pagata.
Come si può vedere, la progressione del Pil viaggia molto più velocemente di quella dei diritti civili.
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Annie Zaidi, I miei luoghi. A spasso
con i banditi e altre storie vere,
Edizioni Metropli d'Asia,
Milano, pagg. 314, € 14,50