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Questo articolo è stato pubblicato il 22 agosto 2012 alle ore 07:40.

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Alcuni si sono indignati dopo aver letto Indignatevi!, altri si sono impegnati dopo aver letto Impegnatevi!, ma la nuova esortazione (leggermente generica) di Stéphane Hessel – Vivete! – rischia di incontrare un successo addirittura plebiscitario, fatta salva qualche colonia di lemming e qualche roccaforte di depressi scandinavi.

Di certo la sta seguendo alla lettera il suo autore, 95 anni a ottobre, che dopo l'insperato trionfo di quel primo opuscolo-manifesto del 2010 è in preda a una febbre pubblicistica incontenibile, che lo ha già portato al successivo punto esclamativo, Esigete!, e a una raffica di libri-conversazione di alta diplomazia umanitaria, con Aung San Suu Kyi o con il Dalai Lama. Saggezza pacificata della canizie?

Tutto il contrario: rabbia punk, muso duro e rivendicazioni radicali. Il caso dell'ex partigiano diventato popstar culturale alla soglia dei cent'anni non è isolato: è nata la Generazione ON, gli ottanta-novantenni, vecchi il doppio dei TQ (e tre volte più arzilli). Tutto è cominciato con Compay Segundo, il musicista cubano stanato all'Avana da Ry Cooder e Wim Wenders per Buena Vista Social Club, che a novant'anni, dopo decenni passati a vivacchiare all'ombra di Castro, cominciò a girare il mondo dimenandosi sul palco come un ragazzino. Il suo parente più stretto sulla scena intellettuale è il sociologo polacco Zygmunt Bauman, che oltretutto ha compiuto una parabola simile dal socialismo reale alla ribalta internazionale.

Chiunque abbia avuto tra le mani il suo Lineamenti di una sociologia marxista, pubblicato quarant'anni fa dagli Editori Riuniti, stenta tuttora a credere che da quel macigno di cinquecento pagine potesse mai scaturire qualcosa di liquido: «Qui non c'è acqua ma soltanto roccia», avrebbe potuto dire con T. S. Eliot. E invece una metafora imbroccata, riprodotta in serie su un'intera linea di prodotti editoriali – modernità liquida, vita liquida, amore liquido, paura liquida – lo ha catapultato, da ottuagenario, al centro dell'arena, ospite fisso di ogni festival che si rispetti. E in Italia?

Qui il potere gerontocratico è così saldo che la seconda giovinezza dell'ultraottantenne arrabbiato fa meno notizia. Ma abbiamo avuto comunque Indignarsi non basta di Pietro Ingrao, Ribelliamoci di Luciana Castellina e Ribellarsi è giusto del partigiano novantasettenne Massimo Ottolenghi. La triade di Arbasino è capovolta: i venerati maestri tornano in scena come belle promesse. Che sia perché la generazione di mezzo è affollata dei soliti stronzi?

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