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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2012 alle ore 16:22.

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«Con una lunga benché non troppo prolifica carriera, Rosi ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema italiano del dopoguerra. La sua opera ha influenzato generazioni di cineasti in tutto il mondo per il metodo, lo stile, il rigore morale e la capacità di fare spettacolo su temi sociali di stringente attualità»: con queste significative parole Alberto Barbera, neo-direttore della Mostra di Venezia, ha motivato la scelta di Francesco Rosi per l'ambito Leone d'Oro alla carriera di questa edizione.
Uno straordinario riconoscimento per l'autore napoletano, classe 1922, che arriva così a bissare l'Orso d'Oro Onorario attribuitogli al Festival di Berlino nel 2008.

Rosi, che iniziò la sua carriera cinematografica nella seconda metà degli anni '40 come assistente di Luchino Visconti, si affermò proprio in laguna quando, alla Mostra del 1958, venne presentato in concorso il suo esordio «La sfida»: la pellicola, ambientata in uno dei quartieri più poveri di Napoli, convinse pubblico, critica e giurati del festival che scelsero di attribuirgli il Premio Speciale.

Il suo stile, in cui la cronaca viene filtrata dalla finzione drammatica e viceversa, troverà il suo apice in «Salvatore Giuliano» del 1961, in cui utilizza materiale di repertorio per dare vita a un'opera maestosa dove le modalità narrative del reportage giornalistico si uniscono a un nuovo modo di fare cinema politico. Il film, che ottiene l'Orso d'Argento al Festival di Berlino, rappresenta per Rosi la definitiva consacrazione internazionale.

L'anno seguente torna a Venezia, dove vince il Leone d'Oro con «Le mani sulla città», spietata denuncia della corruzione e della speculazione edilizia nell'Italia del boom economico con protagonista Rod Steiger. Sotto i riflettori del Lido veneziano sarà ancora presente nel 1970 con «Uomini contro», in cui, ispirandosi al romanzo «Un anno sull'altopiano» di Emilio Lussu, mette in luce tutta la follia della prima guerra mondiale.
Successivamente, nel 1972, conquista anche il Festival di Cannes: «Il caso Mattei» vince la Palma d'Oro (ex aequo con «La classe operaia va in paradiso» di Elio Petri) e Rosi ripropone lo stile del reportage giornalistico per tratteggiare la figura di Enrico Mattei, ex presidente dell'Eni scomparso nell'ottobre del 1962 in circostanze mai del tutto chiarite, qui interpretato magnificamente da Gian Maria Volonté.

Il suo cinema dal forte impegno civile proseguirà negli anni seguenti con «Lucky Luciano» del 1973, in cui ricostruisce l'ultima fase della vita del noto boss italo-americano, e con «Cadaveri eccellenti» del 1976, ispirato a «Il contesto» di Leonardo Sciascia.

Si rivolgerà nuovamente a importanti testi letterari nel 1979 con «Cristo si è fermato a Eboli» tratto dal romanzo di Carlo Levi, nel 1984 mettendo in scena una curiosa versione per il grande schermo della «Carmen» di Georges Bizet e nel 1987 con «Cronaca di una morte annunciata», in cui s'ispira all'omonimo lavoro di Gabriel García Márquez.

Negli anni '90 realizza altri tre lungometraggi: «Dimenticare Palermo» del 1990, scritto insieme a Tonino Guerra e Gore Vidal, il documentario «Diario napoletano» del 1992 e «La tregua» del 1997. Quest'ultimo, che si rifà a uno dei testi più importanti di Primo Levi, viene proposto in concorso al Festival di Cannes e rappresenta l'ultima pellicola diretta da Francesco Rosi per il grande schermo, prima della definitiva decisione di ritirarsi dalle scene.

In attesa di festeggiare i suoi novant'anni (li compirà il prossimo 15 novembre), Rosi riceverà il Leone d'Oro alla Carriera nella giornata di venerdì 31 agosto, data in cui la Mostra di Venezia gli renderà omaggio proiettando uno dei suoi lavori più importanti: «Il caso Mattei» che, come tutta l'opera del regista, pur raccontando una vecchia pagina della nostra storia, appare oggi più attuale che mai.

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