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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2012 alle ore 07:45.

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Risorse. Ovvero quanti idrocarburi ci sono dentro la terra. È un numero certamente finito, però impossibile a dirsi o anche solo ad approssimarsi. Anche perché di regola si cerca e si misura quello che crediamo di poter estrarre e non si spendono, se non raramente, soldi per esplorare quel che sappiamo di non poter raggiungere.

Riserve. Ovvero quanti idrocarburi possiamo estrarre economicamente con le conoscenze tecniche dell'oggi. Una frazione delle risorse. Una frazione mobile che, a risorse per definizione invariate, cambia al mutare di prezzo e tecnologia. La quantità si trasforma (qualche volta) in qualità; e le risorse (qualche volta) in riserve. "Riserve" è nozione economica, e non giusto petrofisica. Il prezzo decide delle risorse valorizzabili e anche della loro valorizzazione. Funziona in entrambi sensi. Se è alto può stimolare la ricerca e la produzione di risorse prima dimenticate; se è basso può far retrocedere le riserve a risorse, decretando la non economicità del continuarne la produzione.

Il prezzo che scende. Le produzioni da oil shale erano diffuse in molti Paesi già nell'Ottocento. Nel 1914 nella sola Scozia la produzione superò le 3.200 tonnellate. Nel primo dopoguerra il flusso di petrolio più "facile" dalle Americhe e poi da altrove le spazzò completamente via. Il potenziale da oil shale retrocesse a risorsa, e uscì almeno temporaneamente dalla nostra contabilità.

Il prezzo che sale. A partire dagli anni '70, alcuni dei più importanti Paesi produttori di petrolio "facile" (Arabia Saudita, Iraq, Iran) chiusero o quasi all'investimento straniero, ritardando nel tempo lo sviluppo e la produzione delle proprie risorse e riserve. Decisero in pratica di difendere i prezzi anziché i volumi. L'effetto fu invece di rendere "riserva" petrolio sino ad allora economicamente impensabile, dall'off-shore profondo ai ghiacci dell'Alaska. Finì, almeno temporaneamente, che aumentarono i volumi e vennero giù i prezzi. Adesso è storia che si ripete. Il prezzo mediorientale resta alto; e le sue alternative diventano economiche, e perciò riserve. Oil sands, shale oil, shale gas, petrolio ultrapesante e perforazione ultraprofonda. Tutto assai più costoso da produrre che un barile di "convenzionale" saudita. Ma tutto "economico" da produrre col barile a 100 dollari. Se negli anni Settanta anche solo l'Iraq avesse "liberalizzato" esplorazione e produzione, forse della "novità" dell'unconventional non avremmo ancora cominciato a parlare.

Le riserve sono funzione di prezzo. Però anche di tecnologia. Il petrolio del Caspio viaggiava a dorso di cammello prima che tubi e navi facessero del mondo il suo mercato. Drake 150 anni fa fece fatica a perforare sino a 30 metri di profondità (1); ed oggi arriviamo a 7.000 metri. Nel 1937 la prima piattaforma di perforazione off-shore operava in meno di 5 metri di profondità d'acqua; e oggi i 3.000 metri di profondità d'acqua sono possibili. La funzione tecnologia non viaggia per salti. Non è l'invenzione che d'istante cambia il mondo; sono l'adattamento nel tempo delle tecniche di produzione e la loro diffusione che progressivamente creano le condizioni del cambiamento. L'unconventional esemplifica bene. La vulgata parla di rivoluzione tecnologica nata dalla "scoperta" e combinazione di fratturazione idraulica e perforazione orizzontale. Le prime fratturazioni idrauliche conosciute sono in realtà del 1949; e di pozzi deviati c'è esempio dagli anni ‘70. Sono nate "convenzionali" ed esplose una volta applicate all'unconventional. Perché il prezzo consentiva di sperimentare e perché la pratica di massa ha permesso una fortissima riduzione di costo.

La tecnologia degli idrocarburi è una storia di successo e di time to market. Nessuna certezza che duri. A oggi abbiamo sempre avuto disponibili nei tempi della domanda i volumi di idrocarburi necessari a soddisfarla. La tecnologia si è mossa in tempo nella direzione cui è applicata, che è quella di lavorare a rendere accessibili risorse che sino a oggi non lo sono. C'è però una novità. Non siamo più sicurissimi che la tecnologia che avanza sia mito del progresso. Abbiamo cominciato a usare petrolio e gas che affioravano spontaneamente in superficie. Oggi scaviamo sabbia in miniera a cielo aperto per strizzarne fuori petrolio; spariamo da un solo pozzo 15 milioni di litri d'acqua mista a proppant e altro per fare a pezzi una formazione shale; e per produrre andiamo a far buchi in mezzo all'Oceano. Viviamo distintamente la percezione che l'aumentare della difficoltà si porti appresso un aumentare del rischio-sicurezza, e comunque del rischio di impatto ambientale.

C'è nel futuro nostro e degli idrocarburi un tema di sostenibilità del rischio. La sicurezza è (accettabilmente) possibile. Un pozzo per produzione in shale se ben controllato e fatto a regola d'arte non mette a rischio le falde acquifere. Si può trattare correttamente il liquido iniettato per fratturazione idraulica ed evitare di disperderlo. E così per qualunque delle tecniche che a volte ci impauriscono. Poi l'incidente non ha mai probabilità zero, ma dovresti poter far conto di benefici e costi.

Per garantire questo ci vuole regolazione, e anche controllo. E la coscienza che più sicurezza vuole dire più costo (la IEA stima che un pozzo in shale fatto a perfezione costerebbe in media un 7% in più del costo medio attuale; ma magari c'è un po' di ottimismo). E anche quella che disagi e danni oggi non risarcibili, insomma quelle che chiamano esternalità, dovremo prima o poi trovare un modo condiviso per misurarli e valorizzarli. L'ambiente di una formazione shale assiste per tacere d'altro all'irrompere di una colonna continua di autobotti e al proliferare in continuo di attività di perforazione. Anche al netto delle emissioni in atmosfera, che tutto questo resti un costo sociale e non un costo di produzione è cosa che ci toccherà di provare a correggere. Sapendo dall'inizio che se mette assieme sicurezza ed esternalità il processo necessario a garantire la sostenibilità del rischio potrebbe non restare senza effetti sulla sostenibilità del costo. Insomma a farci retrocedere a risorsa una qualche nuova riserva.

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