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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2012 alle ore 20:24.

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Ciprì cattura il Lido con una favola grottesca (Ap)Ciprì cattura il Lido con una favola grottesca (Ap)

Una favola giocosa, cinica, amara e realistica. "E' stato il figlio", in concorso alla 69esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, è il riuscito esordio solitario in regia di Daniele Ciprì, dopo la rottura del sodalizio con Franco Maresco con cui aveva firmato diverse pellicole. Con una splendida fotografia, spesso virata al seppia, Ciprì racconta la storia, liberamente tratta dal romanzo di Roberto Alajmo, di un palermitano, Nicola Ciraulo, che si guadagna il pane smontando le navi in disuso e rivendendone i pezzi. Ciraulo (splendido Toni Servillo), che abita con la moglie, i genitori e due figli, Serenella e Busu, vivacchia con i suoi equilibri economici precari, ma con una certa routine di vita che funziona.

Si fatica per pochi "piccioli", in un appartamento squallido di un rione desolato, tutti stretti. Si tira il fiato la domenica al mare, con le ciminiere in lontananza, i bagni e la pennichella schiacciata dopo la pasta al forno. Scene in cui tornano le reminiscenze di "Cinico Tv", con i corpi abnormi sfigurati dall'obesità, la bruttezza compiaciuta, la disarmonia ripresa nella sua pienezza. In questo tran tran accade una disgrazia: la piccola Serenella viene uccisa in un rendimento di conti mafioso e Nicola cade in depressione. Ma la disgrazia porta con sé la soluzione dei mali: la morte della figlia sarà indennizzata dallo Stato con duecento milioni di lire.

Sepolto il lutto, la famiglia respira: la dispensa torna a riempirsi, ma i soldi dello Stato tardano. Nicola è costretto a correre ai ripari da uno strozzino e tutto sembra andare per il peggio quando finalmente l'indennizzo arriva. Pagati i debiti, resta solo un gruzzoletto, di cui la famiglia può disporre liberamente. Tra le varie proposte di impiego del denaro (un loculo al cimitero, una casa, una cucina, un motorino) alla fine viene accolta quella più scellerata, ideata dallo stesso Nicola: una Mercedes fiammeggiante, simbolo di ricchezza. L'acquisto dell'automobile è davvero il momento di felicità compiuta: tutti i membri sembrano godere di quel giocattolo, benedetto perfino dal prete. E' questo forse il momento più alto del film, quando il grottesco trionfa, leggero, a restituire il senso di un paese la cui etica è svenduta al consumismo, in cui l'angolo di paradiso è l'accesso alla fascia più alta dei consumi. Irresistibile la scena surreale in cui Nicola vaga nel cielo roteando con la sua auto tra ficus giganti, arance e i simboli della sicilianità. Poi però Busu rovina la Mercedes con un piccolo incidente e la situazione precipita in tragedia.

Di tutt'altro tenore è "Cherchez Hortense" di Pascal Bonitzer (Fuori concorso), una commedia francese dai toni garbati. Una regista di teatro di grido (Kristin Scott Thomas) si lascia tentare dal fascino del suo primo attore ed è costretta dal marito (Jeanne-Pierre Bacrì) a lasciare casa e figlio adolescente. Il tutto è complicato da una vicenda che coinvolge una bella balcanica (Isabelle Carrè), in gramaglie per un decreto di espulsione, che Bacri dovrebbe risolvere grazie all'aiuto del potente padre (Claude Rich), alto funzionario di Stato. Tra incomprensioni, fraintendimenti, rivelazioni su orientamenti sessuali inaspettati il film tiene sempre il ritmo e aggiusta il sorriso.

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