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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2012 alle ore 19:00.

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Il mistero più intrigante del festival si è finalmente svelato: «The Master», titolo tra i più attesi e stuzzicanti dell'intera kermesse, verrà presentato al pubblico veneziano dopo aver ricevuto una buona accoglienza alla proiezione per la stampa.

Diretto da Paul Thomas Anderson, autore di opere importanti come «Boogie Nights» del 1997 e «Magnolia» del 1999, «The Master» è stato accompagnato negli ultimi mesi da diverse polemiche per i possibili riferimenti alla vita di L. Ron Hubbard, lo scrittore statunitense noto per essere stato il fondatore di Scientology nel 1954 e l'autore di Dianetics, il testo in cui vengono esposte le idee fondanti dell'intero movimento.
Seppur i produttori del film abbiano immediatamente smentito ogni eventuale collegamento, i riferimenti a Hubbard appaiono ben più che una semplice ispirazione.
Ambientata a cavallo tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni '50, la pellicola racconta del particolare rapporto tra Freddie Quell, un vagabondo alcolista reduce di guerra, e Lancaster Dodd, uno scrittore-filosofo-scienziato (come si definisce lui stesso) a capo di una particolare setta religiosa.

Allo stesso tempo succube e affascinato dai metodi del "maestro", Freddie pare destinato a diventare il secondo in comando dell'intera organizzazione.
Nonostante le tante polemiche che «The Master» porterà con sé (soprattutto negli Stati Uniti dove Scientology ha la maggior parte dei suoi fedeli), Paul Thomas Anderson, più che rappresentare i precetti o le azioni compiute dai membri della setta nascente, sembra interessato a sviluppare una riflessione psicologica attorno alla relazione tra i due protagonisti.
Se nel precedente «Il petroliere», opera monumentale vincitrice dell'Orso d'argento al Festival di Berlino 2008, raccontava similitudini e contrasti tra il capitalismo e la nascita delle chiese evangeliche, in «The Master» lo scontro, individuale, è tra una mente fragile e una forte, tra un personaggio disperato e uno sicuro di sé.
Come in tutti i precedenti lavori del regista, la fattura è impeccabile ma, in questo caso, l'eccessiva freddezza della composizione rischia di rendere l'intera visione troppo cervellotica e complessa.

Chi si aspettava un capolavoro rimarrà forse deluso, anche a causa di una seconda parte in calando rispetto alla prima, ma «The Master», la cui uscita nelle sale italiane è prevista per metà gennaio, rimane ugualmente un film di spessore, in cui Anderson riesce a scavare, spietatamente, sotto le ferite di quel sogno americano che per realizzarsi non può rinunciare ad alcuni compromessi.
Oltre alle musiche di Jonny Greenwood, chitarrista e compositore dei Radiohead, assolutamente da standing ovation sono le performance dei due attori protagonisti: Joaquin Phoenix, tornato al cinema di finzione dopo la fittizia parentesi hip-hop (raccontata in «I'm Still Here» di Casey Affleck), nei panni di Freddie e Philip Seymour Hoffman in quelli del "maestro", danno vita a uno dei duetti più intensi e riusciti visti negli ultimi anni sul grande schermo. Non solo si presentano tra i grandi favoriti per la conquista della Coppa Volpi, ma siamo pronti a scommettere che sentiremo nuovamente parlare di loro nel corso della prossima cerimonia degli Oscar.

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