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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 08:18.

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di Donald Sassoon
Tempo libero è indice di civiltà e la nostra è un'epoca civilizzata. Possiamo aver concepito armi di distruzione di massa senza precedenti e averle usate a volte, possiamo aver combattuto le guerre più devastanti della storia, possiamo aver condotto il pianeta sull'orlo dell'estinzione, ma quanto a tempo libero non ci batte nessuno. La nostra è l'epoca del tempo libero. In Occidente, e presto anche in Oriente, cominciamo in effetti a lavorare sul serio solo a vent'anni suonati e in genere si va in pensione a sessant'anni, se non prima. Dopodiché campiamo fino a ottant'anni. Insomma, su ottant'anni ne lavoriamo quaranta.
E anche durante la nostra vita lavorativa non è che ci ammazziamo di lavoro. Tanto per cominciare non lavoriamo nei fine settimana, ovvero 104 giorni l'anno per quarant'anni, l'equivalente di altri 11,3 anni di inattività. Né lavoriamo nelle festività, i tedeschi stakanovisti ne hanno come minimo 13 l'anno, proprio come gli italiani, un giorno in più rispetto a quei poltroni dei greci. Gli inglesi soltanto otto. Se consideriamo una media europea di 10 giorni, possiamo aggiungere altri 400 giorni ovvero 1,1 anno al dolce far niente.
E per finire godiamo anche di giorni di ferie retribuiti che vanno dai 25 nella civilizzatissima Svezia ai 20 in Italia, a un avvilente 7 nella barbara America, patria dei liberi e sfruttati cittadini (stando alle cifre del Bureau of Labour Statistics). In media (prendendo il Regno Unito come media di riferimento) ciò significa altri 3 anni di inattività. Il risultato è che lavoriamo solo 24 anni e mezzo per circa 8 ore al giorno (ipotizzando con un certo azzardo di non ammalarsi mai o di non trovarsi disoccupati e di lavorare fino a sessant'anni). I restanti 55 anni sono dedicati al tempo libero, a dormire, mangiare, poppare dal seno materno, fare l'amore, giocare al computer, ascoltare l'opera, la musica, leggere, fare sport, conversazione, praticare una fede religiosa, combattere guerre, perpetrare stermini di massa e altre sterili attività che però fanno girare l'economia.
Lo sviluppo clamoroso del tempo libero è in parte il risultato del formidabile aumento della produttività e in parte la conseguenza della forza del movimento operaio la cui principale rivendicazione al termine dell'Ottocento non era una società senza classi o il socialismo o la dittatura del proletariato o la fine della storia, bensì la giornata lavorativa di otto ore. Questo storico traguardo socialista fece la felicità del capitalismo che ha sempre trovato il modo di guadagnare alla grande dai successi socialisti. Oggi l'industria del tempo libero, almeno in Europa, è molto più importante del vecchio settore manifatturiero su grande scala. Socialismo e capitalismo interagiscono più spesso di quanto si creda.
Che cosa faceva la gente nelle società pre-capitaliste? Di certo non lavorava sempre. Le comunità contadine potevano godersi un riposo forzato nei lunghi mesi invernali, senz'altro maggiore rispetto allo sfruttato proletariato industriale. Cosa facevano gli europei del tardo medioevo nel "tempo libero"? C'era chi giocava a carte, conversava, spettegolava. La Chiesa offriva una forma di intrattenimento domenicale: alcuni pregavano e altri cantavano. Che allegria! Nelle società pre-industriali, quello che definiremmo tempo libero veniva offerto perlopiù sotto forma di svaghi non letterari come le feste religiose o le sospensioni irregolari dal lavoro. Di solito non era in vendita: la cultura sarà anche stata limitata, ma era "gratuita". E che dire delle "classi agiate"? Nel Settecento le donne della classe media e alta cominciarono a leggere più narrativa degli uomini, scrivevano più lettere e diari. Si pensa spesso che avessero più tempo libero dei loro mariti, ma la vita "da signora" non era di tutto riposo come l'espressione lascerebbe credere. Molte di loro dovevano gestire dai cinque ai dieci domestici, più dipendenti di gran parte delle piccole imprese di oggi. Solo gli aristocratici e le persone molto ricche potevano permettersi di assumere una figura (come il maggiordomo) che supervisionasse la gestione della casa. A questo livello di ricchezza, uomini e donne disponevano entrambi di parecchio tempo libero, per quanto la gamma delle attività maschili fosse ben più variegata: caccia alla volpe, relazioni sociali, viaggi, circoli, prostitute, bevute nei locali e via dicendo.
Ma nell'Ottocento la maggioranza dei comuni mortali non aveva molto da fare nel poco tempo libero che gli restava. Cominciava a lavorare da bambini e moriva in quella che oggi viene considerata la mezza età. Solo nel Novecento, quando la giornata di otto ore diventò una realtà per buona parte dei lavoratori, nacquero nuove forme di intrattenimento a buon mercato: il cinema, la radio e soprattutto la televisione, e nessuna di queste richiedeva particolari competenze. Ma l'alfabetismo era diventato comune anche fra le classi operaie che erano così in grado di leggere libri.
Questo naturalmente preoccupava l'intellighenzia, non solo perché film e romanzi erano di genere mediocre, ma anche perché attiravano il pubblico sbagliato. Anziché elevare lo spirito offrivano a uomini e donne un vacuo intrattenimento. Questa reazione allarmata riemerge costantemente. A ogni sviluppo dell'industria dell'intrattenimento, a ogni scoperta tecnologica e a ogni innovazione, arrivano puntuali le grida di allarme sulla fine della civiltà. Oggi, evidentemente, genitori e insegnanti piangono di felicità alla vista di un bambino immerso in un romanzo... Eppure nell'Ottocento erano tanti i letterati perplessi al pensiero che venissero letti sempre più romanzi; potevano cadere nelle mani di bambini o di adulti impressionabili, come le donne. I romanzi avevano caratteristiche "femminili": erano soggettivi, commoventi e passivi, mentre la cultura alta era "maschile", ovvero oggettiva, ironica e "padrona". Indulgere in storie e fantasie poteva essere dannoso.

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