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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 17:01.

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Ben Affleck e Rachel Weisz in una scena del film «To the wonder», del regista Terrence Malick (ANSA)Ben Affleck e Rachel Weisz in una scena del film «To the wonder», del regista Terrence Malick (ANSA)

Con manifestazioni di disapprovazione e fischi sono stati accolti i due film in concorso oggi alla 69esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia: "Fill the void", opera prima dell'israeliana Rama Burshtein e "To the wonder" di Terrence Malick.
Con quest'ultima pellicola il regista americano sembra aver spinto al massimo la tensione verso la spiritualità e la ricerca del divino, già tema pregnante di "Tree of life", che aveva diviso critica e pubblico, ma si era meritatamente aggiudicato la Palma d'oro al festival del cinema di Cannes nel 2011. "To the wonder" segue la storia di un uomo e una donna, Neil (Ben Affleck) e Marina (Olga Kurylenko), dall'innamoramento cieco e adorante alle difficoltà sentimentali sopraggiunte.

La coppia si conosce a Parigi, dove Marina vive con la figlia preadolescente Tatiana (Tatiana Chiline) e dopo poco decide di trasferirsi negli Stati Uniti, paese di Neil. La convivenza non convince Neil, che allo scadere del permesso di soggiorno di Marina non fa nulla per trattenerla, tanto che la donna e la ragazzina sono costrette a tornare in Europa. Neil nel frattempo intesse una relazione con una ragazza che conosceva dai tempi dell'infanzia, Jane (Rachel McAdams), ma quando lei vuole stabilizzarsi, Marina annuncia di voler sposare un americano per ottenere una green card e tornare a vivere negli Stati Uniti. Neil decide di lasciare Jane per sposare Marina. Sullo sfondo della storia il tormento di padre Quintana, (Xavier Bardem, che ha strappato grandi risate al pubblico che lo ha visto sbucare sullo schermo in abiti talari), che non riesce più a trovare la gioia della vocazione e della fede.

La trama in realtà ha pochissimo peso nel film, in cui i dialoghi sono ridotti all'osso. A parlare è soprattutto la meravigliosa fotografia, i passi danzanti di Marina, le immagini di natura selvaggia, la bellezza di una Parigi che pare inedita anche nei suoi scorci più noti sotto la lente del grande regista americano. Forti e assoluti i dialoghi fuori campo che raccontano attraverso soprattutto la voce femminile l'indecisione di Neil, diviso tra due amori, logorato –come dirà Neil stesso a padre Quintana- dal ruolo del forte, di colui che ama di meno. Fa da sfondo un'America che sotto gli occhi di Marina si trasforma da Paese felice e ordinato, in un ammasso di solitudini e di corpi abbruttiti dalla vita, da cui padre Quintana cerca di non farsi corrodere.

Tuttavia, quanto "Tree of life" nella sua spiritualità estrema e negli ammiccamenti apocalittici (i dinosauri, le esplosioni) appariva compiuto a chi lo ha amato, "To the wonder" sembra frammentato, quasi un meraviglioso balbettio non risolto nella ricerca mistica del regista. L'insensatezza del vivere a cui si contrappone la potenza e la bellezza della natura sono solo in parte resi dalle contraddizioni vissute dai protagonisti e a volte così altisonanti da cadere nel nulla.

E' stato una rivelazione, invece, "Fill the void", che introduce lo spettatore in una comunità israeliana ortodossa ripresa da una sua componente, la regista Rama Burstein. Si assiste così alla vicenda di una coppia di genitori che perdono una figlia durante il parto, alla vigilia del fidanzamento, poi andato a monte, della figlia minore diciottenne. Si entra nei riti patriarcali, religiosi e di costume: le ansie della diciottenne Shira (Hadas Yaron) per il fidanzamento con un giovane con cui non ha mai scambiato parola, ma di cui è sinceramente contenta, come lo sono tutte le giovani della sua età appartenenti alla comunità. Si assiste alle pratiche dei giorni di festa rigidamente osservate, alle preghiere recitate con partecipazione e stretta osservanza, agli abiti dalle forme inusuali portati con rispetto, alla fila dal rabbino, come noi facciamo dal medico, per chiedere consiglio. Eppure quel mondo per noi arcaico, raccontato attraverso l'indecisione di Shira nel prendere come sposo il marito della sorella defunta per poter mantenere la famiglia unita e allevare così il piccolo nipote orfano, ha regalato un film delicato e nello stesso tempo forte. Commovente è la scena della piccola sposa che rosa dall'ansia e dalla paura del dubbio, riceve piangente i bigliettini augurali delle amiche sotto il velo. Bellissima la scena dello sposalizio con le immagini che si fanno buie a un certo punto, ultimo sussulto di terrore di Shra verso il futuro che l'aspetta. Peccato quei fischi, "Fill the void" non li meritava.

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