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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 19:12.

Il cavaliere oscuro - Il ritorno (Olycom)Il cavaliere oscuro - Il ritorno (Olycom)

Sono tanti i titoli in uscita in settimana, ma è inevitabile che a catturare l'attenzione e l'attesa di tutti sia soltanto uno: Il cavaliere oscuro- Il ritorno. Capolavoro o bluff? L'interrogativo- che potrebbe anzi dovrebbe essere esteso, come dubbio, a tutta la cinematografia del suo regista- ancora non si è risolto neanche dopo il 21 agosto, giorno che ha portato sugli schermi italiani il film in anteprima, in ben 700 sale. Incassi da capogiro, reazioni contrastanti.

Noi, possiamo dirlo, siamo rimasti molto delusi. Nolan si avvicina molto all'originale del fumetto solo all'inizio, modella il suo cinema su quell'epica e oscura minisaga disegnata per essere un caposaldo di Batman e di tutte le nuvole parlanti, la graphic novel "Il ritorno del cavaliere oscuro" scritta e "dipinta" dal genio di Frank Miller, un profeta moderno dei romanzi supereroistici a fumetti che in quel caso scrisse una sorta di Watchmen (si intenda, l'accostamento, come importanza nell'intera produzione fumettistica) tutto incentrato sull'Uomo Pipistrello. Ma quanto quelle pagine erano epiche ed etiche, potentissime e coraggiose, estreme e persino folli, tanto Nolan riesce solo a costruire una parabola quasi biblica, incentrata sui meccanismi più efficaci e "sicuri" dei suoi primi due capitoli e su un moralismo che affronta muscolarmente e con toni da tragedia greca le fondamenta della società moderna.

Non a caso questo terzo Batman di Nolan e Christian Bale ha portato molti a tirar fuori similitudini con il modo repubblicano di guardare il mondo o con Occupy Wall Street. La motivazione è semplice: da quando questo cineasta ha incontrato il supereroe più dark della DC, ne ha sempre fatto uno specchio deformante- ma non troppo- dei vizi più oscuri del nostro mondo. Ma laddove nel primo capitolo Bale- Bruce Wayne è un uomo che deve ricostruire se stesso per salvare il mondo, in un romanzo di formazione ambizioso e complesso, laddove nel secondo Bene e Male si scontrano con una morale affascinante e selvaggia, mettendo due attori straordinari e complementari a confronto (il poliedrico e rigoroso Bale, lo strabordante e geniale Ledger), questo terzo sembra non un sequel, ma una "ripetizione".

Se si eccettua il vivacissimo e apparentemente poco prevedibile finale, infatti, questo Bruce Wayne disilluso e la Gotham ripulita ma forse più viziosa di prima non sanno scuoterti. Wayne è ferito nell'anima e nel fisico, schiacciato- come pure il commissario Gordon- dalla menzogna con cui si è infangato, per salvare la sua città ingrata. Un eroe tragico, quasi un Sansone al contrario (muoia Sansone PER tutti i filistei) - o un Toki per gli amanti del Ken Shiro- che sacrifica se stesso per il bene comune. Un personaggio nolaniano a tutto tondo, se si pensa al suo rapporto annichilente con l'amore perduto, che però non trova né la compattezza del primo capitolo, né tantomeno l'azione concitata e incalzante del secondo. Qui rimane solo morale e moralismo, con dialoghi pesanti e poco pensanti e svolte di sceneggiatura improbabili (il disvelamento dell'eroe, la battaglia tra poliziotti e mercenari evidentemente montata male- difetto di tutto il film il montaggio-, i salti narrativi, la ripetività visiva). Il cavaliere oscuro- il ritorno è inizialmente pretenzioso, poi noioso e solo alla fine prende ritmo, ma sorprende solo i più disattenti, con curve apparentemente irregolari verso un punto d'arrivo più che evidente.

Si capisce, qui, che Nolan, a differenza di Miller, aveva già detto e dato tutto quello che voleva e sentiva su Batman (e infatti questo terzo capitolo è arrivato solo sull'onda degli incassi) e mette su, come in Inception, troppe idee e ispirazioni per confondere il pubblico con la sua abilità visiva e emotiva, e forse pure se stesso. Non basta Tom Hardy-Bane, cattivo da manuale che mina il sistema economicamente e poi prende il suo cuore- un reattore- per tramutarlo in un tumore: quella maschera lo nasconde, in tutti i sensi. Brava, sorprendente la Hathaway, che però dà sempre l'idea di cercare lo charme, forse inarrivabile ma necessario al personaggio di Selina, rimanendo a un compito ben svolto. Una delusione, purtroppo, senza se e senza ma, che però "ingannerà" piacevolmente i fanatici dell'Uomo Pipistrello e del regista che, in fondo, qui trovano quello che vogliono. E se lo faranno bastare.

Tra tutte le altre uscite, prudentemente in sala due giorni dopo, ci permettiamo di segnalare il bizzarro e interessante Womb, con un Eva Green finalmente di nuovo in palla, e soprattutto La Faida. Joshua Marston, già autore di Maria Full of Grace, è anch'egli un pittore di emotività e regole morali, di terre di nessuno che diventano simbolo e metafora dei sentimenti collettivi. Qui si parla dell'odio che si annida in un'Europa sconosciuta, rurale e allo stesso tempo protesa al futuro. C'è un dolce 17enne graffiato dall'esplosione inevitabile e rabbiosa di emotività antiche, di regole non scritte, infami e selvagge. Norme di vita insenstate ma impossibili da estirpare, che ancora esistono e resistono. Una pellicola importante, interessante, a cui si perdonano un paio di passaggi a vuoto e altri "troppo facili". A volte, semplificare, non è un difetto.

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