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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 08:14.

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Esattamente settecento anni fa, durante il concilio di Vienne (1312), l'Ordine dei templari veniva sciolto – ma non condannato – dal papa. Era questo l'esito di un'intricata battaglia politica, che si protraeva da anni, tra il re di Francia, che premeva per lo scioglimento e la condanna dell'Ordine, e i pontefici romani, indeboliti e messi costantemente sotto pressione dall'azione politica della corona francese.
Ai settecento anni del concilio sono state dedicate alcune manifestazioni importanti, per esempio i convegni organizzati proprio nella città di Vienne, nel sud della Francia, e va menzionata almeno l'iniziativa dell'Institut Catholique di Parigi che ha organizzato una lunga serie di conferenze sulla natura di quel concilio e sul suo contesto intellettuale, a cui hanno partecipato studiosi del calibro di Jean Chélini, Alain de Libera, Andrea Robiglio. La vicenda e la storia dei templari, che nel 1312 si conclude tragicamente, è invece oggetto di un duraturo e vario interesse da parte dell'industria culturale ed editoriale. In questo senso gli elementi di attrazione e di fascino sono in effetti molti: le crociate, le ricchezze, l'enormità delle accuse rivolte ai templari e l'allusione a lati oscuri del loro operare, che una certa visione romantica del Medioevo ha trasformato in un vero e proprio genere. Simonetta Cerrini con il suo nuovo libro L'Apocalisse dei Templari. Missione e destino dell'ordine religioso e cavalleresco più misterioso del mondo (Mondadori, in uscita il 4 settembre), si rivolge a un pubblico ampio ed è ben consapevole della fascinazione e di alcuni rischi che il tema comporta. Rinuncia opportunamente a ripercorrere gli aspetti leggendari, per concentrarsi concretamente sulla missione dei templari e sul loro immaginario.
Il volume «non pretende di essere un saggio scientifico» (pagina 5) – sebbene l'autrice sia una storica dell'Ordine nota e competente, a cui si deve tra l'altro un'edizione critica della Regola dei templari – e si presenta piuttosto come una serie di riflessioni e di aperture d'orizzonte su alcuni episodi, simboli, elementi di identità dell'Ordine. Il congegno narrativo del saggio è incardinato sul suggestivo tentativo di spiegazione dell'affresco della controfacciata della chiesa templare di San Bevignate a Perugia, un santo misterioso di cui non si sa nulla (è egli stesso un templare?).
L'affresco, che risale agli anni 60 del Duecento, come la chiesa, è costituito da quattro immagini sovrapposte. Al livello inferiore è raffigurata una battaglia tra cavalieri che ha i templari come protagonisti. Salendo con lo sguardo troviamo i frati dell'Ordine, protetti da una fortezza, in procinto di combattere un leone che si trova all'esterno. Poi, ancora più in alto, una nave templare in un mare in tempesta e la presenza di grandi pesci. E infine un'aquila che rinserra negli artigli un libro chiuso.
L'effetto divulgativo è molto interessante, perché ogni scena, a partire dai quattro animali presenti ai quattro livelli dell'affresco, diventa occasione di approfondimenti sull'immaginario templare e medievale e conduce il lettore in un viaggio attraverso luoghi e vicende che si dipanano dai deserti mediorientali alla penisola iberica, da Cipro all'Italia. La battaglia raffigurata viene identificata come la battaglia di Nablus (1242), non distante da Gerusalemme, un momento importante dell'identità templare. È una raffigurazione con la quale l'Ordine si autorappresenta qui nel suo elemento guerriero e combattente. Cerrini ne approfitta allora per raccontare la natura della presenza dei templari a Gerusalemme, la loro politica, le loro relazioni non solo con i regni cristiani, ma con le variegate entità politiche e territoriali locali, soprattutto la loro «doppia vocazione», cavalleresca e monastica, che aveva dato vita a una regola «rigorosamente antiascetica per dei frati» e «coraggiosamente antieroica per dei cavalieri».
Il leone dell'affresco ci ricorderebbe anche la natura spirituale della loro battaglia. Il leone è uno dei simboli più ambivalenti. Indica il Cristo e la sua resurrezione, ma anche il demonio. Allude alla parte irrazionale e ferina della natura umana, provoca ammirazione per la sua forza, ma anche timore per la sua aggressività. Questo di San Bevignate è poi un leone nel deserto, il luogo dei santi eremiti, in certo senso il luogo dell'estrema messa alla prova di sé. Il leone templare, come il leone di san Gerolamo nel deserto, vuole qui forse indicare la battaglia interiore, di cui quella esteriore, contro i nemici in battaglia, è figura. Il grande mare della terza scena, custodito dalla figura del pesce, rappresenterebbe invece lo stare nel mondo del templare, e del cristiano. In quel flusso che è fatto di relazioni, commercio con gli altri, di pericoli ma anche di attività e scambio, esiste un dovere di azione e di intervento, di vita attiva, che è la vita cristiana nel mondo. L'aquila invece rappresenta Giovanni e il libro è l'Apocalisse, momento finale del compimento, del rinnovamento, della rigenerazione.
Insomma l'autrice propone di leggere l'affresco in un senso ascensionale, come una serie di gradini di comprensione, che partono dall'espressione di un fatto storico, la battaglia di Nablus, per giungere a una verità più alta, esattamente come le tecniche di lettura delle Scritture, che prevedevano un senso storico (i fatti narrati), dal quale poi si dipanavano i tre sensi spirituali. È forse questa ipotesi un po' sdrucciolevole, ma non priva di un reale interesse. E l'elemento apocalittico nella lettura di Cerrini ha il merito di farci comprendere come l'attesa di un rinnovamento profondo caratterizzasse la società e la mentalità del tempo. La chiesa di San Bevignate viene costruita in quel torno di anni in cui sono più forti le aspettative di rigenerazione. Gioacchino da Fiore aveva profetizzato per il 1260 l'inizio di una nuova epoca spirituale e il gioachimismo aveva permeato anche gli ambienti francescani, a Perugia nel 1260 avrebbe preso corpo il movimento penitenziale dei flagellanti. I templari erano a Perugia forse una delle forze in campo di questa dinamica e la loro chiesa una risposta importante a tali impulsi, una chiesa templare figura di una Gerusalemme celeste apocalittica. E con la loro natura anfibia di cavalieri e fratelli – Cerrini lo mostra bene – i templari, al di là del mito posteriore, recitarono una piccola, ma significativa, parte nella storia culturale del Medioevo.

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