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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2012 alle ore 09:05.

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SigurRos in concerto al Castello Scaligero di Villafranca di Verona (LaPresse)SigurRos in concerto al Castello Scaligero di Villafranca di Verona (LaPresse)

Nuvole basse, l'umido grigio di un autunno arrivato troppo presto. Le mura imponenti del Castello Scaligero circondano zolle di terreno instabile e fangoso, insidioso come quello di una baia tormentata ogni giorno da incessanti maree. Sembra un angolo di terre del nord, questa sera, Villafranca di Verona, e l'Islanda non appare poi così distante, nonostante il suo linguaggio astruso.

Sigur Ros, chi sono costoro? Un gruppo post-rock, capace di attirare l'attenzione degli addetti ai lavori o dei pochi e soliti affezionati fans? No, non è solo per pochi il concerto di oggi, ed il colpo d'occhio sulla gente accorsa sino a qui è impressionante, a testimonianza della fama di un gruppo che é cresciuta poco a poco anche in Italia. Una proposta originale e affascinante, capace di attirare diverse migliaia di persone. Gente sensibile ad una musica che sappia ancora riconoscere il desiderio profondo del cuore.

Attendono ad uscire, Jonsi Birgisson e la sua band, anche se il loro inconfondibile tappeto sonoro, magica ed eterea alchimia di suoni, lanciato diversi minuti prima che i musicisti giungano sul palco, avvolge ed ipnotizza in pochi istanti anche gli spettatori più lontani. L'inizio del concerto si gioca sui registri della malinconia, che in un cuore sincero e aperto al vero non è mai tristezza, ma sempre nostalgia dell'infinito. Quello dei Sigur Ros, è percorso tra i più arditi, patrimonio di musicisti abili nel passare da atmosfere dolci e rarefatte a momenti larghi e sfrenati, melodie trasformate e condotte sino ai confini della dissonanza, in un crescendo di volume e di furore rock che mostra le ferite dell'anima più profonde. Non è un sound studiato a tavolino, ne' mandato scolasticamente a memoria, ma qualcosa di sempre unico ed originale. La voce di Jonsi si fa capace di raggiungere vette inesplorate e l'utilizzo del vonlenska - modo di accostare le sillabe l'una all'altra, senza un'apparente significato – la trasforma in uno straordinario strumento musicale a sé. Anche il metodo col quale il leader carismatico della band suona la chitarra elettrica, l'archetto di un violoncello che talora accarezza, altre volte percuote con violenza le sue corde, conduce l'ascoltatore lungo territori sonori mai sperimentati, a volte anche distorti e violenti, immancabilmente affascinanti.

Ci sono un po' tutte, in questo concerto, le canzoni del repertorio della band. Un paio di brani tratti dall'ultimo lavoro, "Valtari", ed una manciata presa da quasi tutti gli album della discografia, una proposta musicale coerente con se stessa lungo quasi vent'anni, eppure sempre capace di nuovi slanci e mai noiosa. Mentre la musica viaggia, sugli schermi dietro al palco scorrono immagini spesso in bianco e nero, angolature strane ed inusuali che inquadrano particolari dei musicisti e degli strumenti, simili a quelle proposte nel recente dvd del gruppo, "Inni". Un percorso inverso, rispetto al precedente documentario "Heima", edito poco più di cinque anni fa. Là dove i suoni correvano lungo gli incantevoli paesaggi d'Islanda, immagini d'armonia tra natura, cose e persone, ora lo sguardo, attraversando inquadrature più ostili e prive di colore, è costretto a concentrarsi di nuovo sulle note. Una scenografia, quella sul palco, in realtà semplice ed essenziale, che riporta tutto là dove deve stare, al centro della musica sincera.

Capita spesso, specie nei passaggi più energici ed intensi, che Jonsi arrivi a curvarsi sulla sua chitarra, l'archetto nella mano destra, il volto quasi a terra dopo che la voce ha dato tutto di se stessa. Se é vero che, nei suoi momenti più alti, le canzoni rock sono in grado di dare voce alla ferita dell'uomo che cerca di raggiungere il mistero, allora questi sono istanti in cui quello sul palco sembra l'uomo in grado di rappresentare meglio il desiderio struggente di verità e bellezza del cuore. Forse il successo di questo gruppo, anche dalle nostre parti, non sta solo in un'originale formula musicale, ma in un'autenticità che riesce ad andare in risonanza anche con quella ferita e le emozioni che albergano in ciascuno di noi allo stesso modo.

Nella sua mostra sul rock intitolata "Tre accordi e il desiderio di verità", recentemente presentata al meeting di Rimini, John Waters, vicedirettore dell' Irish Times ha scritto: "Il suono della chitarra fa muovere il tuo corpo in un altro modo. Ha in sé la vita che costruisce, la risata degli angeli, il pungolo del diavolo, un piccolo mistero, un leggero fastidio e la più assoluta promessa di futuro. Ti lavi la faccia nel suono e finisci il tuo drink. Torni a camminare per strada, un po' meno spaventato di morire, ma, curiosamente, o forse no, un po' più determinato a vivere". Capita anche a noi, stasera, dopo l'ultima birra e l'abbraccio ideale a Jonsi e soci, che s'inchinano sul palco sorridenti alla fine dello show. Musica rock che origina dall'uomo e che condivide la sua stessa natura, che è rapporto con l'infinito. Che, come quell'uomo, ha paura di morire all'alba di ogni giorno. Ma che questa sera è tornata felice lungo la sua strada.

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