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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2012 alle ore 17:24.

Il cinema italiano ancora grande protagonista alla Mostra di Venezia 2012: dopo l'ottima accoglienza ricevuta nei giorni scorsi da «È stato il figlio» di Daniele Ciprì e da «La nave dolce» di Daniele Vicari, oggi è il turno de «L'intervallo», esordio nel lungometraggio di finzione di Leonardo Di Costanzo.
Presentato all'interno della sezione Orizzonti, il film ha come protagonisti un giovane venditore ambulante di granite (interpretato da Alessio Gallo) e una sua coetanea sfrontata e sicura di sé (Francesca Riso), forzati a trascorrere una giornata rinchiusi in uno dei tanti edifici abbandonati della periferia napoletana: la ragazza ha fatto uno sgarro al boss del quartiere, che costringe il ragazzo a improvvisarsi carceriere della sua compagna d'avventura.
Rifacendosi al modello della tragedia greca, Di Costanzo fa muovere i suoi personaggi in un unico spazio (le mura del palazzo) e tempo (una sola giornata) per quasi tutta la durata della pellicola
La messa in scena, asciutta e priva di qualsiasi fronzolo retorico, dimostra che l'interesse del regista per la rappresentazione della realtà è rimasto intatto nonostante il passaggio al cinema di finzione, dopo una carriera legata ai documentari: tra questi ricordiamo, in particolare, «Odessa» del 2006, cronaca della drammatica storia di nove marinai ucraini abbandonati dall'armatore nel porto di Napoli, e «A scuola», spaccato di un intero anno scolastico in una scuola media della periferia napoletana, proposto al Lido nel 2003.
Pur con qualche leggero calo nella parte centrale, «L'intervallo» si può considerare una delle sorprese più piacevoli dell'intero festival, a conferma dell'ottimo valore medio delle tante pellicole italiane viste quest'anno a Venezia. In attesa di scoprire domani «Bella addormentata» di Marco Bellocchio, incentrato attorno al caso di Eluana Englaro.
Sempre all'interno di Orizzonti è stato presentato «The Millennial Rapture», ultima fatica del giapponese Koji Wakamatsu.
Ispirato al romanzo «Mille anni di piacere» di Kenji Nagakami, il film ruota attorno a un'anziana levatrice, unica testimone dell'esistenza di una stirpe di uomini leggendari, perseguitati da una maledizione ignota che li costringeva ad amare e essere amati ininterrottamente. L'unico modo per sfuggire a tale condanna era morire.
Vero e proprio guru del cinema nipponico, Wakamatsu (classe 1936) ha spesso trattato nel corso della sua carriera tematiche come la sessualità e la presenza del male nel mondo: rispetto ai suoi lavori più importanti, come «United Red Army» del 2007 o «Caterpillar» del 2010, «The Millennial Rapture» manca di quella verve creativa a cui il regista ci aveva abituato.
Anche a causa di una sceneggiatura troppo ridondante, il film risulta piatto e particolarmente ingenuo, tanto da rischiare di cadere nel comico involontario in diverse sequenze.
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