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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2012 alle ore 21:55.

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Siete musicisti emergenti? Almost Famous recensisce solo musica indipendente. Inviateci demo, Ep e album più o meno auto-prodotti all'indirizzo almostfamous.ilsole24ore@gmail.com. Parleremo di chi ha tante idee e pochi soldi per realizzarle. Spietatamente

Trascorrono gli anni, le esperienze ti fanno scuola, ma uno tende a commettere sempre gli stessi errori. Qualche esempio? Ascolti i padri nobili della psichedelia inglese, i primissimi Pink Floyd di Syd Barrett o i Soft Machine guidati dalle visioni di Robert Wyatt, e ti dici: questa qui è roba «irregolare», troppo personale, addirittura irreplicabile. Come vuoi che eserciti influenza su altri artisti?
Poi va a finire che ti stupisci di fronte alla nutritissima schiera di seguaci del Cambridge sound e della scena di Canterbury che ha affollato e affolla l'Occidente (musicalmente) civilizzato. Capita di fare ragionamenti del genere ascoltando i Sonatin for a Jazz Funeral, quartetto di ventenni napoletani che, pur bazzicando lidi sonori diversi, riesce a ricreare atmosfere in perfetta sintonia con quelle dei grandi sperimentatori britannici di una volta. Giusto per capirci: con la loro terra d'origine e le relative radici musicali hanno poco a che spartire.

Musica per palati fini il loro Ep d'esordio «Monochrome Sunset», di difficile collocazione secondo le categorie del già sentito. Cinque brani con testi in inglese (ciascuno dei quali ancorato a riconoscibili riferimenti culturali), armonie dissonanti (ve lo ricordate «Third» dei Soft Machine?), melodie che ti mettono in petto un senso totale di spaesamento (come succedeva con «Mathilda Moter»). Prendete «Hurricane», una ballad sulla necessità di galleggiare nel sentimento amoroso. Un omaggio a «L'Atalante» di Jean Vigo che si fonda sul perfetto feeling tra Luigi Impagliazzo - che è cantante, chitarrista ritmico e flautista - e Gennaro Cotena, chitarrista solista abile quando si tratta di rispolverare slide parecchio floydiane. Un dialogo, il loro, che si impone come cifra stilistica dell'intera opera. Si passa poi a «Herostratus». Qui lo spunto della composizione è l'omonimo racconto di Jean Paul Sartre, il tema portante quello dell'alienazione dell'individuo. E c'è davvero da sentirsi alienati di fronte a cani che mangiano l'immondizia che resta dalle emergenze. Si lavora di più sulle variazioni ritmiche stavolta, nei complicati accordi che inanella Cotena come nell'asse d'equilibrio sorretto dal bassista Pierluigi Patitucci (un cognome, un destino) e dal batterista Maurizio Milano.

«Martin Syndrome» è una jazzatissima ballad che racconta le presunte crisi di amnesia del loro vecchio batterista – che si chiama appunto Martino – fino a elevarlo a caso esemplare di una sindrome che consiste nel dimenticare l'inizio di una storia quando se ne riesce a trovare la fine. La ascolti e resti sospeso, un po' come quando ti trovi di fronte alle glaciali atmosfere dei Sigur Ros. «50 Mimi» rappresenta l'ennesima variazione sul tema dello spaesamento, con giusto un pizzico di pepe in più messo dalle robuste iniezioni di elettronica e dal ritmo del ritornello che sa di dancefloor. Completa il quadro «Broken Palabra», con i riff in controtempo di chitarra e batteria, gli echi dub, le acrobatiche armonie vocali e qualche apertura melodica ma non troppo che non guasta affatto. Questi sono i Sonatin for a Jazz Funeral. Per molti ma non per tutti.
Sonatin for a Jazz Funeral «Monochrome Sunset»

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