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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2012 alle ore 16:52.

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Dieci film per un solo posto al sole. Finita Venezia, che per quanto riguarda le pellicole italiane s'è portata dietro una bella scia di polemiche, ecco che arriva l'iscrizione alla corsa più ambita, quella che porterà uno dei nostri registi a rappresentare l'Italia nella corsa all'Oscar per il miglior film in lingua straniera.

Parliamoci chiaro, questo è il primo passo, quello più burocratico. I produttori candidano il loro film in attesa che la Commissione di Selezione italiana si riunisca il 26 settembre per decidere chi dovrà concorrere alla statuetta portando le insegne tricolori. Da lì partirà un lavoro tra Italia e Stati Uniti del fortunato prescelto che dovrà prima tentare l'entrata nei magnifici nove che vengono preselezionati e poi, con un ultimo colpo di reni e soprattutto di fortuna, sperare di far parte della cinquina che, come minimo, darebbe diritto a essere presenti alla cerimonia dell'85^ edizione dell'Academy Awards.

Un viaggio verso il sogno americano che durerà quasi due stagioni (autunno e inverno) e che, va detto, negli ultimi anni, all'Italia ha dato solo delusioni. La più cocente di sicuro è stata riservata, immeritatamente, a Matteo Garrone, che dopo essere stato estromesso persino dalla lista più ampia con Gomorra, ora ci riprova con Reality che, forse, potrebbe risultare più adatto e comprensibile al pubblico americano. Marco Bellocchio, mai arrivato a rappresentare l'Italia in questa competizione, cerca di consolarsi dalla sconfitta alla Mostra del Cinema provando a portare il suo Bella Addormentata a Los Angeles, mentre i fratelli Taviani con l'acclamato Cesare deve morire provano a bissare il loro Orso d'Oro alla Berlinale. Fu scelto con Il testimone dello sposo, Pupi Avati, nella selezione interna, senza riuscire a passare gli ulteriori step, e ora ci riprova con Il cuore grande delle ragazze.

Impossibile non fare un po' il tifo per lui che ha confessato, più di una volta, di aver pronto da sempre uno splendido discorso di ringraziamento. Daniele Ciprì, che a Venezia ha vinto un premio e mezzo (l'Osella per il contributo tecnico e il Mastroianni per Fabrizio Falco, condiviso con Bellocchio, di cui ha curato la fotografia) tenta, con il suo esordio É stato il figlio, di fare il colpo grosso, così come ci spera anche Ivano De Matteo, con Gli Equilibristi, storia durissima ma con uno stile di regia che all'estero, soprattutto in Francia, è già stato molto apprezzato. Viene da lontano un altro esordio, La-bàs, in cui Guido Lombardi racconta, romanzando, la strage di clandestini africani a Castelvolturno di qualche anno fa. Già Leone d'oro come miglior opera prima a Venezia 2012, la sua storia noir, in tutti i sensi, potrebbe risultare abbastanza universale da avere qualche chance. Nella rosa troviamo anche Ferzan Ozpetek con il malinconico e un po' fantasy Magnifica presenza, e Carlo Verdone con il suo film precario Posti in piedi in paradiso, su mariti separati che si riuniscono, per necessità, nella casa più pazza del mondo.

Rimane Diaz di Daniele Vicari, che sembra, giustamente, il favorito. Di questi citati è il più venduto all'estero, è una delle migliori opere degli ultimi decenni, sembra richiamare la tradizione civile e allo stesso tempo di genere che negli Usa, con Petri ad esempio, è stata sempre molto apprezzata. Certo è che le valutazioni della commissione- formata da Angelo Barbagallo, Nicola Borrelli, Francesco Bruni, Martha Capello, Valerio De Paolis, Piera Detassis, Nicola Giuliano, Fulvio Lucisano e Paolo Mereghetti- non saranno facili. L'ardua sentenza dovrà tener presenti i gusti a volte bizzarri dei giurati dell'Academy e il regolamento bizantino di questa categoria del film in lingua straniera, molto diverso da quello generale.

I film in lizza li vedono in pochi e non sono quasi mai quelli buoni, nella decisione va valutata anche la potenza di fuoco della produzione e la scelta del rappresentante a stelle e strisce, la bravura nel fare pubbliche relazioni e nell'organizzare proiezioni mirate oltre oceano.
Un gioco d'azzardo, insomma, in cui perdiamo da 15 anni. Il 26 sapremo chi cercherà di seguire le orme, magari camminando sulle poltroncine del teatro, di Roberto Benigni, che con La vita è bella è l'ultimo regista ad essersi portato a casa quella statuetta. Insieme a quella come miglior attore.

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